di Michele Mezza
Il terrorismo batte ancora alle nostre case. E batte anche alle nostre redazioni. Vorrei poter continuare a ragionare come giornalista anche fra il fumo e i lamenti delle bombe. Dobbiamo riconoscere, è sempre stato così del resto, che anche questa guerra terroristica è una gigantesca scuola professionale, che riformula modelli e valori dellâ??informazione. Su questo sarebbe opportuno aprire una discussione contemporanea agli eventi, per non dover poi rammaricarci di non essere stati capaci di capire occasioni e pericoli.Una discussione condotta nel cuore del mestiere, fra chi di giornalismo vive.
Due sono gli spunti che volevo proporre. Il primo viene dalla quantità e qualità delle notizie che giungono da Londra. Inconsuetamente stringate, frammentate, incomplete. Paradossalmente proprio una delle capitali della multimedialità pare chiudersi a riccio. Poche le immagini, e di scarso impatto, labili i bilanci, confuse le ricostruzioni. Non credo che sia il risultato di una defaillance del sistema informativo inglese. Mi è parso più il risultato di una scelta strategica: non staccare la spina, ma limitare lâ??effetto del colpo terroristico. Siamo, forse, di fronte ad una svolta da parte dei centri di comando: lâ??informazione può essere, consensualmente, limitata nellâ??emergenza. Una scelta che potrebbe estendersi e coinvolgere ogni emergenza. Naturalmente il punto nevralgico dellâ??eventuale nuovo scenario sta in quel â?? consensualmenteâ?. Eâ?? possibile che la comunità dellâ??informazione concordi un codice che limiti lâ??effetto moltiplicante del terrore? Eâ?? una vecchia questione. Oggi, di fronte alla natura di un conflitto che tracima da ogni categoria tradizionale, e che introduce sulla scena un nuovo protagonista, una nuova potenza, che è lâ??azione terroristica in quanto tale, credo si debbano aggiornare analisi e conclusioni. Il nuovo sistema della comunicazione, con le sue infine possibilità di distribuzione delle news ci permette infatti di combinare la pretesa alla massima trasparenza con un governo degli effetti emotivi del terrore globale sulle comunità . Diciamo sinteticamente meno TV più internet.Eâ?? una scelta plausibile ? ci pare che lâ??eccezionalità della fase possa giustificarlo? Io credo che la plausibilità della strategia sia accettabile solo se il mondo della comunicazione sia chiamato, consapevolmente, a discutere lâ??evenienza, introducendo riflessioni ed elaborazioni più professionali . Insomma dobbiamo prendere in mano il caso e andare incontro a chi pensa di poterlo decidere solo centralmente.
Il secondo aspetto che volevo segnalare è solo apparentemente in contraddizione con quanto ho appena detto: le fonti sono sempre meno professionali e sempre più diffuse. Nelle ore successive alla strage le immagini, i reportages, le testimonianze, persino le analisi che hanno documentato, in tempo reale , lâ??evento sono giunte da una miriade di soggetti non giornalistici. Penso alle foto nei tunnel della metropolitana, al primo filmato sullâ??autobus fumante, alle dichiarazioni audio comparse su infiniti blog . Siamo ad un ulteriore tornante di quel fenomeno che possiamo chiamare di reporter sociale, o di spettatore , dove la miniaturizzazione dei mezzi di produzione e la connettività wireless permette unâ??invasione del recinto delle fonti giornalistiche da parte di chiunque. Un fenomeno che non può non essere base di una riflessione sul profilo del mestiere giornalistico e sulle nuove culture di mediazione che la realtà ci propone. Anche in questo caso credo che non si debba attendere che siano altri poteri â?? economici, editoriali politici- a configurare nuove forme della comunicazione: dobbiamo ragionare sul fatto che il valore aggiunto della nostra professione ormai non è più legato al reperimento della notizia ma alla sua contestualizzazione. Per questo è necessaria una diversa geometria organizzativa delle redazioni, un diverso bagaglio professionali, modalità aggiuntive per reperire in velocità competenze e saperi. Le bombe stanno frantumando anche queste vecchie certezze professionali.
Michele Mezza