di Elisabetta Reguitti
Il tribunale di Lodi ha condannato la Figc per discriminazione. Si è chiuso infatti ieri il ricorso presentato da un 19 enne nato in Togo arrivato in Italia nel 2008 e in attesa del riconoscimento di rifugiato politico. Si chiama Shaib il “Davide” che ha vinto contro Golia-Figc, la federazione italiana del gioco del calcio che per natura dovrebbe in qualche modo promuovere il gioco del pallone come modalità di espressione individuale e modalità di socializzazione. Ma non nel caso di Shaib che insieme alla onlus Lodi per Mostar e Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) hanno presentato e vinto la sua piccola battaglia. Anche se il campionato della Gs Azzurra, squadra dell’oratorio don Bosco di Lodi, si è già chiuso e la sentenza del giudice Federico Salmerin è arrivata tardi per scendere in campo. Shaib come richiedente asilo politico può contare solo su permessi di tre mesi che gli vengono regolarmente prorogati da quando è sbarcato, nel 2008, a Malpensa; eppure un regolamento gli impediva di fare l’unica cosa di cui è capace: giocare al gioco del calcio come aveva fatto, peraltro, anche nella nazionale giovanile togolese. Ma il regolamento della Figc,fino a ieri era perentorio e diceva che per tesserarsi gli sportivi devono essere in possesso del permesso di soggiorno valido almeno fino alla fine del campionato.
Ma il giudice Salmeri però ha ritenuto discriminatorio il comportamento della Figc che da ieri quindi dovrà cambiare il suo regolamento. Nella sentenza, inoltre, viene sottolineata la gravità dell’ esclusione da un’attività sportiva che dovrebbe avere invece un ruolo educativo e di socializzazione importante per il giocatore stesso e per la collettività. Per la verità la Figc si era impegnata e scegliendo una linea difensiva forse un po’ leghista giustificandosi sostenendo la tesi di voler “tutelare i vivai nostrani”. Ma il tribunale di Lodi che ha risposto come “la tutela dei vivai nostrani” sia un sostanziale fenomeno di etnocentrismo modello sociale eticamente inaccettabile. Secondo l’avvocato Alberto Guariso, difensore di Shaib, questo è un chiaro caso in cui “certi messaggi contro l’immigrazione possono innescare meccanismi negativi anche in ambiti che per loro natura sono luoghi di socializzazione. Come nel caso dell’ambito sportivo”.
Quello che colpisce della vicenda giudiziaria di Shaib è come la Figc volesse in qualche modo dare un esempio da seguire. Come si spiegherebbero altrimenti frasi dette e scritte e secondo le quali “non si può avallare la presenza di un extracomunitario nel nostro Paese in una condizione di irregolarità” oppure ancora “a sostegno della propria tesi difensiva la Figc ritiene che consentendo la permanenza di un extracomunitario privo del permesso di soggiorno la federazione potrebbe incorrere in un reato di correità”. Reato di correità? Lo stesso giudice ha chiesto cosa punisse il “non meglio precisato reato di correità”. Sulla teoria della tutela dei “vivai nostrani” lo stesso tribunale di Lodi ha rincarato sostenendo come una sostanziale preferenza per i giocatori italiani violi tutte le norme nazionali e internazionali che impongono il principio di trattamento seguito dalle “odierne società civili”. Shaib che sogna di poter diventare come i suoi idoli dell’Inter (squadra per la quale tifa) per questa stagione non potrà giocare con i suoi compagni. Shaib sulla “Gazzetta dello Sport” però ci andrà comunque nel giro di una quindicina di giorni perché nella sentenza il giudice Salmeri ha ordinato alla Figc anche di pubblicare come “il tribunale ha accertato e dichiarato la natura discriminatoria basata sull’origine nazionale nella parte della norma in cui viene imposto, per il tesseramento, il permesso di soggiorno valido almeno fino al termine della stagione sportiva corrente anziché il mero possesso del permesso di soggiorno”.
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