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Affari e politica, commistione inaccettabile
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di Gianni Rossi

Affari e politica, commistione inaccettabile

“Da quello che sentiamo dire da appartenenti di massimo rilievo della maggioranza, come il coordinatore del PDL Verdini, è che lui, e altri dei loro, si sarebbero solo dedicati a legittime operazioni di affari. La questione è che, se sei il capo di un  partito politico, non puoi fare gli affari. E ciò che sarebbe legittimo, se fossi un semplice cittadino, è politicamente illegittimo se sei il capo del partito di maggioranza o, naturalmente, anche di opposizione”. Così Gianrico Carofiglio, interviene sul sito di Articolo21 in merito agli intrecci tra affari e politica.
Magistrato, già pm alla Direzione distrettuale antimafia di Bari, autore di diversi libri di successo, dai quali sono stati tratti alcuni film TV, oggi anche senatore del PD, Gianrico Carofiglio si trova a Venezia a presentare il suo ultimo il libro “Le Perfezioni provvisorie” (Sellerio editore), che fa parte della Cinquina dei finalisti del prestigioso Premio Campiello.

La questione morale  è intrecciata con la crisi economica e politica. Perché si tende a metterla sotto tono?
“Si tratta di un chiaro atteggiamento di autodifesa di chi da questa questione viene coinvolto. Ripetere in maniera stucchevole che si tratta di singoli casi, ma che non c’è un problema strutturale, significa sottrarsi alla responsabilità politica che questo problema propone.
Ed è quello che percepiamo nelle uscite rozze di Berlusconi e in quelle appena un po’ meno rozze di Tremonti nelle sue metafore da frutteria: delle cassette di mele marce. Francamente stucchevoli.
Secondo me, la questione è molto semplice. In primo luogo, bisogna evitare il rischio del cosiddetto “pan-penalismo”. Ciò che è fuori dal penalmente rilevante è insignificante dal punto di vista politico, da questo tipo di visone. La questione è molto diversa. Nel senso che, ciò su cui noi dovremmo concentrarci è proprio il tema della responsabilità politica indipendentemente dall’eventuale rilievo penale dei comportamenti.
Da quello che sentiamo dire da appartenenti di massimo rilievo della maggioranza, come il coordinatore del PDL Verdini, è che lui, e altri dei loro, si sarebbero solo dedicati a legittime operazioni di affari. La questione è che, se sei il capo di un  partito politico, non puoi fare gli affari. E ciò che sarebbe legittimo, se fossi un semplice cittadino, è politicamente illegittimo se sei il capo del partito di maggioranza o, naturalmente, anche di opposizione.
Affari e politica vanno separati e la regola è questa: i fatti penalmente rilevanti debbono interessarci il meno possibile quando parliamo di politica. Ci deve molto interessare, invece, questa commistione inaccettabile fra politica e affarismo.
La questione morale esiste clamorosamente nella misura in cui non si coglie l’illegittimità politica di questa commistione.

Il tema però anche da sinistra sembra poco pagante elettoralmente. Si sostiene, insomma, che la questione morale, gli scandali alla fine non portano voti.
In primo luogo ci sono battaglie che vanno fatte indipendentemente dalle prospettive di successo che propongono. Sono d’accordo sul fatto che non si vince solo agitando questa bandiera. E’ necessario, lo andiamo ripetendo da un po’ di tempo, costruire una “narrazione” entusiasmante del futuro. Questa narrazione deve essere intessuta  di parole pesanti come: uguaglianza, solidarietà, felicità. Per tutti.

Il sistema oggi definito P3 e ieri P2 non le sembra un metodo antico, tipico del potere italiano del nostro fare politica, che ci riporta agli albori della nascita dello Stato italiano?
Starei molto attento a una ricostruzione così impegnativa. Prima di esprimere opinioni su questa banda di affaristi, vorrei conoscere bene gli esiti di un’indagine in corso, che non è ancora terminata. Non mi piace esprimere giudizi tanto per parlare. Starei attento a  parlare di eccessive similitudini, che magari anche ci sono, ma sulle quali mi piacerebbe avere elementi sufficienti. Il solo fatto che sia coinvolto un signore di nome Flavio Carboni, che evoca alcune facili suggestioni, non basta: bisogna attendere per vedere.

E’ una malattia del potere in generale?

Cerco di sottrarmi alle eccessive generalizzazioni, perché il rischio poi è di lasciar fuori aspetti importanti. Se elaboriamo una teoria elegante e suggestiva, poi tendiamo a confermarla, il che significa letteralmente non vedere i fatti, che in quella teoria non rientrano. Come i diceva Einstein: se i fatti contraddicono una bella teoria, tanto peggio per i fatti. Noi dobbiamo, invece, essere capace di vederli tutti i fatti. E per me un criterio, l‘ho scritto più volte, è la riflessione della filosofa Hannah Arendt : il male non è mai radicale, nel senso di avere radici e profondità, il male può essere estremo e devastare il mondo; ma come un fungo che si diffonde. Ma se l’intelligenza cerca di penetrarne le ragioni profonde, si trova di fronte ad un enigma insolubile, perché quelle radici non ci sono. Il male è banale e solo il bene può essere “radicale”.

 


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