di Filippo Vendemmiati
“Il teatro e il cinema continuano la ricerca della giustizia con altri mezzi” La famiglia Cucchi e la famiglia Aldrovandi, unite da una tragica violenza delle istituzioni che ha portato via loro due figli, ancora insieme elaborano un percorso lungo e difficile verso la verità, affidando le loro storie alla rappresentazione artistica. Se il film presentato a Venezia “E’ stato morto un ragazzo” è la ricostruzione giornalistica della morte di Federico, 18 anni, e dell’inchiesta giudiziaria, lo spettacolo teatrale “In morte segreta” non è invece la ricostruzione della vicenda, ma un monologo introspettivo sugli ultimi giorni di vita di Stefano, anni. Il recital, scritto e interpretato da Ugo De Vita, è stato rappresentato per la prima volta il 18 settembre nell’auditorium del carcere di Padova, davanti ad un pubblico di detenuti. Era presente anche Ilaria, sorella di Stefano:
“L’autore e attore, De Vita, dice Ilaria, ha dimostrato una grande sensibilità entrando fino in fondo nei sentimenti che mio fratello ha provato negli ultimi giorni di vita. E’ stato con noi a lungo, ci siamo parlati, si è commosso insieme a noi, è entrato in punta di piedi nella nostra casa”.
Ma qual era lo stato d’animo di Stefano in quei giorni?
“Io sono tormentata da quello che ha vissuto. Sicuramente aveva addosso una grande rabbia perché si sentiva in colpa, sapeva di aver sbagliato e soprattutto di aver deluso i suoi genitori. Allo stesso tempo percepiva di essere stato abbandonato dalla sua famiglia. Era rinchiuso, non ci vedeva, credeva che non volessimo vederlo. Non sapeva che lo stavamo cercando. Mamma e papà tutti i giorni andavano in carcere, in ospedale per tentare di incontrarlo, ma nessuno ci diceva niente. Anche per questo non immaginavamo che la situazione fosse drammatica, ci siamo fidati. Stefano se ne è andato portandosi dentro dolore e solitudine”.
Anche voi, come la famiglia Aldrovandi, avete fatto di una tragedia privata un caso pubblico. E’ stato difficile ?
“Non avevamo altra scelta per sapere la verità e ottenere giustizia. Ci dissero che era una morte naturale, che non c’era nulla da sapere. Come nel caso di Federico la sensibilità pubblica si è contrapposta alla segretezza delle istituzioni”.
In questi mesi ha incontrato molte persone, ha partecipato a molte iniziative, tutte nel nome di suo fratello e di altre persone decedute in situazioni analoghe, queste esperienze quanto hanno inciso nella sua vita?
“ Ho aperto gli occhi su un altro mondo. Ad esempio il carcere. Avevo sempre pensato che non mi riguardasse, invece ha imparato a rispettarlo. E’ una realtà di cui non si sa quasi mai, è troppo facile dare giudizi standone fuori”.
Perché il titolo dello spettacolo è “In morte segreta”?
“Perché è esattamente quello che doveva accadere nella realtà, da quell’ospedale non doveva uscire nessuna spiegazione sulla morte di Stefano, doveva restare una morte segreta”.
La segretezza, secondo lei, è anche l’elemento comune che unisce altri casi tragici come questo?
“I fatti a volte sono molto diversi, ma l’atteggiamento delle forze dell’ordine e delle istituzioni è stato sempre lo stesso. Primo negare, secondo occultare. Io ho sempre considerato i tutori dell’ordine come degli amici, e lo credo tutt’ora, ma in queste esperienze tragiche, noi e altre famiglie, abbiamo incontrato solo nemici: persone che volevano farci credere versioni assurde. Stefano, secondo loro, si era semplicemente spento. In questi casi non bisogna arrendersi, bisogna andare avanti per sapere”.
Perché avete costruito un legame così stretto con la famiglia Aldrovandi, in fondo le vostre tragedie sono molto diverse, sono avvenute in circostanze non paragonabili, la vostra a Roma, l’altra in un piccolo centro, a Ferrara?
“Siamo diventati amici è vero, ma c’è dell’altro io credo. Ci siamo resi conto che le nostre esperienze tragiche devono essere messe al servizio di altri, che hanno subito o che subiranno torti e abusi da organi dello stato. Molte famiglie non hanno gli strumenti culturali per reagire, spesso manca loro la forza, il coraggio, prevale l’accettazione passiva del dolore, addirittura il senso di colpa e di autocondanna”.
Sabato prossimo 25 settembre sarà il quinto anniversario della morte di Federico Aldrovandi. I famigliari di Cucchi, Giuliani, Sandri, Uva, di Federico, il giovane Rudi Bianzino, si riuniranno a Ferrara per fondare una nuova associazione che ha lo scopo di fornire assistenza morale e legale a chi ha subito queste ingiustizie.
“ E’ il modo migliore per ricordare e ridare dignità alle morti che si volevano segrete e da dimenticare, ma è anche un monito a chi, tutore dell’ordine, usa la forza in modo ingiustificato. Che sappia che da oggi c’è qualcuno che lo controlla, sappia che non potrà più pensare di rimanere impunito”.