di Davide De Stavola
Pignataro Maggiore – Il gruppo che fa capo a “Sandokan”, il superboss del clan dei “Casalesi”, decise la morte del primogenito di Vincenzo Lubrano. La supremazia della cosca pignatarese nell’Agro Caleno era mal vista dai vertici della camorra di Casal di Principe, che decisero di punirla eliminando l’elemento di maggior rilievo del gruppo, il trade d’union tra la famiglia originaria di Marano e quella dei Nuvoletta, entrambe alleate storiche in Campania dei gruppi mafiosi siciliani. Così il commando assassinò “Lello” nel novembre del 2002, in pieno centro storico. Dopo anni di supposizioni, le indagini della Direzione distrettuale antimafia hanno fatto piena luce sulla vicenda.
I sostituti procuratori della Direzione distrettuale antimafia, Giovanni Conso e Liana Esposito, potrebbero aver messo la parola fine sull’omicidio di Raffaele Lubrano ( detto “Lello” ), primogenito del boss Vincenzo Lubrano e genero del capoclan di Marano, Lorenzo Nuvoletta. Nell’ordinanza emessa dal Gip del Tribunale di Napoli, su richiesta dei due pm che già rappresentano l’accusa nel processo contro il clan Lubrano - Ligato, sono riportati i nomi dei presunti responsabili dell’assassinio del rampollo del defunto capocosca e le ragioni di quella efferata esecuzione. I destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare sono: Vincenzo Schiavone, di 31 anni, Nicola Panaro, di 42 anni, Vito Lo Massimo, di 39 anni, Mario Mauro di 35 anni, Franco Bianco, di 39 anni. Tutti accusati di concorso nell'omicidio del primo figlio di “don Vincenzo”.
Dopo anni di incertezze sulle responsabilità dell’omicidio, oggi appare chiaro che a volere la morte dell’erede di Lubrano fu la fazione Schiavone del clan dei “Casalesi”, quella riconducibile a Francesco Schiavone detto “Sandokan”. I cinque destinatari delle misure cautelari – per altro già confinati in carcere per altri reati – sono tutti presunti affiliati al gruppo del superboss condannato all’ergastolo nell’ambito del processo “Spartacus” ( sentenza confermata anche in terzo grado ). Tale aspetto confermerebbe la tesi dei due sostituti. L’agguato sarebbe stato preparato per questioni di interessi criminali nella zona dell’Agro Caleno. Il clan Lubrano – Ligato, membro del cartello della Nuova Famiglia nella guerra contro la Nco ( Nuova camorra organizzata ) di Raffaele Cutolo e alleato storico della cosca dei Nuvoletta, per decenni ha lucrato su affari poco puliti nell’Agro Caleno: dalle estorsioni, alle truffe alla Comunità Europea ( tramite il conferimento di frutta e verdura in sovrapproduzione all’Aima ) fino agli appalti. Il tutto forti dell’alleanza con i Nuvoletta, del legame con la mafia palermitana prima e i “corleonesi” poi, e della pax camorristica con i “casalesi”.
Dopo il tramonto del vecchio capoclan pignatarese, l’erede designato era proprio Raffaele Lubrano, considerata la persona giusta per proseguire gli “affari di famiglia” e rafforzare il legame con gli storici alleati. Lello sposò proprio la figlia di Lorenzo Nuvoletta, Rosa, e da figlio prediletto divenne il punto di riferimento del gruppo. Scrittore di poesie e generoso filantropo per il restauro delle effige di quella che divenne nota come la “Madonna della Camorra”, con la sua società di costruzioni, la Co. Ge. ( Costruzioni Generali ), riuscì a intercettare importanti appalti nella zona anche grazie alla vicinanza a politici di colore politico diverso.
L’apogeo del dominio incontrastato di Raffaele Lubrano fu interrotto proprio dal commando proveniente dai “Mazzoni” e inviato da quella fazione che mal sopportava di dover lasciare gli interessi del territorio pignatarese nelle mani di un clan più debole. Il 14 novembre del 2002, poco dopo le 20.30, i killer, a bordo di due autovetture ( una delle due era un’Alfa 164 di colore bordeaux targata Napoli, rinvenuta dopo l’agguato nelle campagne circostanti ) bloccarono il suo fuoristrada Toyota e all’incrocio tra via Latina e via Regina Elena a Pignataro Maggiore, lo crivellarono di colpi di arma da fuoco. Per anni si è detto che la morte del genero di Lorenzo Nuvoletta era stata voluta dalla fazione dei “Casalesi” che fa capo a Michele Zagaria e in particolare da Enrico Martinelli, affiliato alla fazione del boss latitante. Martinelli era il maggiore indiziato poiché negli anni ’80 il clan Lubrano – Ligato avrebbe fatto uccidere suo fratello Emilio. La sua sete di vendetta sarebbe stata frenata per ragioni di opportunità negli anni successivi. Quando, però, gli interessi criminali dei “casalesi” e delle cosche calene sono diventati divergenti ( forse già alla fine dello scorso decennio ), in qualche modo è stata appagata anche la sua voglia di rivalsa.
tratto dal blog http://davidedestavolanews.myblog.it/
*Nel processo in questione il comune non si è costituito parte civile, lo ha fatto invece il giornalista Enzo Palmesano, come si legge su un altro post dello stesso autore, a lui va l'apprezzamento e la solidarietà di Articolo21.