di Roberta Mani e Roberto Rossi*
La camorra, non solo quella che spara, rimane comunque sempre il più grande ostacolo a un’informazione libera e completa, il pericolo maggiore per i giornalisti «fuori dal coro». Paradigmatica, in questo senso, è la storia di Enzo Palmesano. La sua intera esistenza, quella dei suoi familiari, è infatti stata condizionata dalle reazioni all’impegno profuso nel raccontare le dinamiche criminali dell’Agro Caleno, l’area a Nord di Caserta. Il giornalista
ha più volte definito la zona intorno a Pignataro Maggiore, la sua città, la «Svizzera dei clan» per la concentrazione degli affari finalizzati al riciclaggio di denaro sporco. In zona, a Sparanise è
stata costruita una centrale termoelettrica che in passato è stata spesso oggetto delle sue inchieste. Ne scrisse anche Roberto Saviano, allora, per «il manifesto» dicendo che chi si opponeva alla sua costruzione rischiava fisicamente. «Quando scrivevo inchieste su quella centrale – dice Palmesano intervistato da una web tv –
interveniva per metterle a tacere l’attuale sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, la cui famiglia ha affari nella centrale».
Nicola Cosentino – parente acquisito di Peppe ’o padrino, esponente del clan dei Casalesi – si ricorderà, è stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare emessa dall’ufficio del Gip del
Tribunale di Napoli su richiesta della Dda, per il reato di concorso esterno in associazione camorristica, la cui esecuzione è stata bloccata dalla Camera dei deputati.
Palmesano è stato direttore del «Roma», ed è stato sbattuto fuori perché si ostinava a farne un giornale di denuncia. Un foglio che raccontasse senza troppi fronzoli delle connessioni tra le famiglie del casertano – legate per decenni ai Corleonesi – e imprenditori e politici dal volto pulito. Da una recente inchiesta della Dda
partenopea emergono chiaramente le pressioni esercitate dal clan Lubrano, legato ai Casalesi, sul «Corriere di Caserta» per silurarlo. Lo stesso trattamento per il figlio, licenziato da
un’impresa edile. Così il giornalista in una lettera inviata ad Articolo 21: «Nel corso dell’inchiesta del dottor Giovanni Conzo è emerso, inoltre, che il clan Lubrano-Ligato impose – oltre che la fine della mia collaborazione con il quotidiano locale “Corriere di Caserta”, qui con convergenti pressioni politiche locali
e nazionali – il licenziamento di mio figlio Massimiliano ad un imprenditore edile pignatarese». Sempre in quelle carte, nero su bianco, le trascrizioni delle intercettazioni ambientali riferiscono
chiaramente dell’odio rabbioso nei confronti di due giornalisti «che scassavano ’o cazzo», espresso dal capoclan Vincenzo Lubrano, già mandante, insieme ai Nuvoletta, dell’omicidio di Giancarlo
Siani. I due cronisti in questione: lo stesso Siani e Enzo Palmesano.
Il 24 febbraio 2009, durante la conferenza stampa tenuta dai magistrati antimafia in occasione di quella operazione, la stessa
che ha portato all’arresto di 15 esponenti del clan Lubrano-Ligato, il free-lance Palmesano è stato ringraziato pubblicamente
per l’aiuto fondamentale che le sue inchieste giornalistiche hanno dato agli inquirenti durante le indagini. Quella stessa notte, il giornalista e i suoi familiari riescono a mettere in fuga chi aveva già cosparso la loro auto di benzina per darvi fuoco.
Così Palmesano ai microfoni di «Libera Informazione», mentre spiega che non è l’unico, nella «Svizzera dei clan» a essere oggetto di attenzioni camorristiche: «Gli attacchi ai giornalisti non si risparmiano in queste terre. Sono almeno tre i cronisti pignataresi, escluso il sottoscritto, che hanno subito minacce e condizionamenti.
Sono Carlo Pascarella, Davide De Stavola e Salvatore Minieri. Il 31 dicembre 2007 nell’ambito di una vasta opera di minacce esplosero quasi contemporaneamente due bombe carta. Una presso il panificio della fidanzata di un carabiniere e la seconda
presso il negozio della sorella di Carlo Pascarella. Subito si parlò di racket, ma era evidente l’intimidazione per altri motivi. Per mettere paura a Pascarella soprattutto. Io già ero stato allontanato e il giovane Davide De Stavola aveva già ritrovato per due volte dei pesci sulla sua vettura. Rimaneva da sedare solo la
voglia di informare di Salvatore Minieri, l’unico ancora in pista, con De Stavola costretto a scrivere poco e nulla presso la sua testata.
Nel gennaio del 2008 un attentato notturno cercava di completare l’opera di intimidazione. Alcuni colpi diretti verso la finestra di casa Minieri si fermarono sulla cancellata. Salvatore, cacciato dal suo quotidiano, ora è addirittura emigrato in Molise dove collabora con una realtà della provincia di Isernia. Quattro
casi inspiegabili se non all’interno di una strategia mafiosa».
All’epoca delle intimidazioni i tre giornalisti si erano occupati della «Villa del Conte», un immobile sequestrato al boss Raffaele Ligato. Gli articoli denunciavano lo stato di abbandono del caseggiato
bunker che, come dimostravano le cronache, di fatto era ancora nella totale disponibilità della famiglia Ligato. «Quando io e Carlo andammo di persona per documentare le condizioni del bunker – ci dice Davide De Stavola – vi trovammo Pietro
Ligato, figlio del boss arrestato, a colloquio con l’imprenditore Tommaso Verazzo, responsabile di Bio Power, la società che avrebbe dovuto costruire una centrale di biomassa proprio nei
pressi della villa con i finanziamenti della Regione Campania».
Carlo Pascarella e Davide De Stavola scrivevano all’epoca per il «Giornale di Caserta», Minieri era invece alla «Gazzetta di Caserta». «Il nostro lavoro – continua Davide – ci ha creato forti inimicizie, soprattutto nella classe politica locale. Col tempo, io ed Enzo Palmesano, che collaborava come me alle pagine sull’Agro
Caleno del “Giornale di Caserta”, siamo stati messi alla porta. Carlo, che era un redattore, si è dovuto “allineare”». Dal
gennaio del 2008, il giornale si chiama «Buongiorno Caserta».
«Una ristrutturazione – spiega Davide – che ha finito per tagliare tutte le collaborazioni, le pagine territoriali non esistono più. Di fatto, un giornale realizzato interamente in redazione. Riguardo a Salvatore Minieri, per un periodo non lo hanno fatto più scrivere,
alla fine ha preso la decisione di andarsene a Tele Molise». «La
stampa è completamente dipendente dall’arroganza e dalla tracotanza
della politica – chiude Davide – una circostanza che non è un’esclusiva delle nostre terre, peccato però che qui c’è la mafia, con tutto ciò che questo comporta in termini di influenza sulla classe politica e quindi sull’editoria».
Su quattro editori presenti nel Casertano, due negli ultimi anni sono stati arrestati. Maurizio Clemente editore del «Corriere di
Caserta», rinviato a giudizio nel 2003 per estorsione a mezzo stampa al fine di ottenere contratti pubblicitari. Pasquale Piccirillo, a capo della società che edita «Buongiorno Caserta» e «Tv Luna», lo scorso gennaio in manette, invece, per truffa ai danni del ministero dello Sviluppo economico. Secondo i magistrati della Procura di Santa Maria Capua Vetere avrebbe emesso fatture false per ottenere un finanziamento di 782 mila euro.
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*dal Meta Rapporto Ossigeno 2010
Un giornalista scomodo ed urticante che coltiva l'amore per la legalità - di Giuseppe Giulietti