di Pietro Nardiello
"Le cosiddette e sedicenti organizzazioni “anticamorra” fornivano – in cambio di favori, appalti e clientele – la copertura “della legalità” al sindaco Magliocca. E intanto i beni continuavano ad essere un affare per le cosche, soprattutto per quanto riguarda il dato simbolico: se nulla cambia neanche con le confische dei beni, il consenso sociale e la capacità di intimidazione della camorra restano intatti. Non è facile, per un giornalista, attaccare le organizzazioni sedicenti “anticamorra” su un tema delicato quale è quello dei beni confiscati"... Così il giornalista Enzo Palmesano intervistato a pochi giorni dall'arresto del sindaco di Pignataro Maggiore Giorgio Magliocca
Palmesano, nei giorni scorsi il sindaco di Pignataro Maggiore Giorgio Magliocca è stato arrestato perché accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Come mai si è giunto a questo?
Nessuna sorpresa da parte dei giornalisti che fin dal 2002 – e sono passati nove anni - accusano Magliocca di legami con il clan Lubrano-Ligato. Il sindaco di Pignataro Maggiore è stato oggetto di una imponente investigazione giornalistica e io e altri colleghi siamo stati vittime di ritorsioni politiche, editoriali e camorristiche. Le accuse dei giornalisti sono state in pieno riscontrate, sul piano giudiziario, dalle indagini della Squadra Mobile della Questura di Caserta e dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Io tra poco potrò scrivere solo sui muri, non mi vogliono più da nessuna parte. Sono diventato pericoloso per me e per gli altri. Ma ne vale la pena. Il copia e incolla con le ordinanze dei magistrati o la funzione di buca delle lettere per i comunicati dei politici, non sono giornalismo, anzi è una funzione meno creativa e utile di un impiego al catasto.
Ci delinea un profilo geografico mafioso di Pignataro e del comprensorio per chi non conosce questi territori?
Ho ribattezzato Pignataro Maggiore “la Svizzera dei clan”, luogo tranquillo per riciclare denaro sporco, per nascondere i sequestrati e i latitanti, per orchestrare delitti eccellenti, per intessere accordi con la politica. Qui hanno svernato da latitanti Luciano Liggio e Totò Riina. E i boss pignataresi hanno orchestrato i delitti politici, come gli omicidi del giornalista “abusivo” del “Mattino”, Giancarlo Siani, e del fratello del giudice Ferdinando Imposimato, Franco.
Nell’inchiesta si parla di beni confiscati che, nonostante la confisca, sarebbero rimasti nella disponibilità del clan. In che modo?
Le cosiddette e sedicenti organizzazioni “anticamorra” fornivano – in cambio di favori, appalti e clientele – la copertura “della legalità” al sindaco Magliocca. E intanto i beni continuavano ad essere un affare per le cosche, soprattutto per quanto riguarda il dato simbolico: se nulla cambia neanche con le confische dei beni, il consenso sociale e la capacità di intimidazione della camorra restano intatti. Non è facile, per un giornalista, attaccare le organizzazioni sedicenti “anticamorra” su un tema delicato quale è quello dei beni confiscati. Io me lo sono potuto permettere per una credibilità personale e professionale conquistata sul campo. Nel 2000 fu una mia inchiesta giornalistica a portare alla luce il fascicolo dei beni confiscati che era stato insabbiato dall’allora sindaco Ds Giovan Giuseppe Palumbo, la cui amministrazione fu sciolta per condizionamenti camorristici. Con il sindaco Pdl, ex An, Giorgio Magliocca le cose sono addirittura peggiorate perché la camorra imperava sotto la maschera di una presunta “anticamorra”. Senza lo scudo di quella prima e decisiva inchiesta giornalistica del 2000 sui beni confiscati, ci avrebbero fatti a pezzi. Ma il giornalismo investigativo logora solo chi non lo fa.
Nello specifico si parla della villa Ligato che dopo quindici anni dalla confisca definitiva risulta ancora inutilizzata. Coinvolte nell’inchiesta anche la prima assegnataria del bene, l’associazione Mondotondo, che dopo due anni, rinunciava all’assegnazione del bene e il Consorzio Icaro, attuale affidatario. Se le accuse dovessero essere confermate si allungherebbe la macchia che vede coinvolto, da tempo, anche il terzo settore in provincia di Caserta.
C’è pure di peggio: qualcuno aveva fatto arrivare notizie false alla Commissione antimafia e qualcun altro aveva operato per farle prendere per buone. Nella relazione di maggioranza di fine legislatura del 2006 risultava che villa Ligato sarebbe la sede di due caserme, una dei carabinieri e l’altra della Guardia di Finanza. E’ falso, la villa è diroccata e usata dalla camorra per nascondere armi e macchine rubate, per summit, per portarvi imprenditori da ‘ammorbidire’ e costringerli a pagare il ‘pizzo’. Le organizzazioni cosiddette anticamorra hanno una gravissima responsabilità: nel 2007, dopo che la camorra aveva raccolto abusivamente tutti i frutti del pescheto, organizzarono una manifestazione anti-clan di facciata con il titolo ‘Liberiamo le pesche’ al fine di offrire una ulteriore copertura al sindaco Magliocca, esponente politico asservito alla cosca Lubrano-Ligato. E noi giornalisti, da soli, ad attaccare politici, camorra e pure le organizzazioni sedicenti anti-camorra. Anche esponenti di “Libera” della provincia di Caserta hanno pesanti responsabilità. Don Luigi Ciotti – grande stima per lui, da parte mia – dovrebbe analizzare a fondo il dossier Pignataro Maggiore.
Facciamo un’ analisi politica. Perché il Sindaco Magliocca avrebbe dovuto richiedere l’aiuto dei clan per la sua campagna elettorale? Quali interessi avrebbe perorato?
Magliocca è un uomo cerniera, è il collegamento tra la camorra e la politica che conta. Quella degli affari, degli apparati e delle logge. E’ trasversale, dal centrosinistra al centrodestra. E’ la politica del grande affare dei rifiuti, delle discariche, delle centrali, della violenza ai danni del territorio. C’è ancora molto da investigare: per noi giornalisti, ma credo anche per i magistrati, nella “Svizzera dei clan”.
Se tutto questo dovesse essere confermato, si può ancora sperare in una nuova stagione per questi territori?
Per il giornalismo investigativo no. Se vuoi vivere da giornalista professionista te ne devi andare. Non c’è speranza.