Articolo 21 - Sguardi sul mondo
2011, lâanno della speranza
Sono già iniziati, su numerosi giornali, i commenti e i ricordi dell’anno che sta per concludersi: un anno difficile, senza dubbio drammatico dal punto di vista economico e politico (e anche per quel che riguarda la sopravvivenza a rischio di numerose testate giornalistiche e di centinaia di migliaia di posti di lavoro) ma anche un anno di grandi, in alcuni casi direi immense, svolte nel mondo e pure in Italia.
Abbiamo assistito, infatti, alla caduta di dittature che duravano ormai da decenni, a seguito di rivolte spontanee di popolo che la stampa internazionale ha posto sotto il titolo di “Primavera araba” e alle quali la prestigiosa rivista “Time” ha dedicato la copertina dell’uomo dell’anno: “The protester”, comprendendo anche i ragazzi che si battono per una Russia libera dall’autocrate Putin e dal suo scudiero Medvedev; i loro coetanei del movimento “Occupy Wall Street”, che si sono ritrovati a Zuccotti Park, e i giovani che in tutto il mondo, non solo nei paesi dell’Africa mediterranea, hanno finalmente alzato la testa per gridare la propria contrarietà ad una crisi che sta mettendo a rischio il nostro futuro.
Gheddafi, Ben Ali, Mubarak: nella conferenza stampa di fine 2010, Berlusconi aveva elogiato pubblicamente i suoi stretti rapporti con questi splendidi esempi di democrazia e, quasi per una nemesi storica, anche lui è stato disarcionato da un potere decennale che ha condotto l’Italia nel baratro dell’incertezza e in una crisi assai più profonda di quanto ci hanno raccontato la maggior parte dei mezzi d’informazione.
Qualcuno ha affermato che, senza la crisi, Berlusconi sarebbe ancora al suo posto. Può darsi, ma mi rifiuto di condividere sempre la visione più cinica, anche perché considero il cinismo elevato a virtù uno dei peggiori mali della nostra epoca.
La crisi ha contribuito in maniera decisiva, per carità, gli ha schierato contro pure categorie che, per “affinità elettive”, lo avevano sostenuto e gli avevano perdonato l’imperdonabile, chiudendo per troppo tempo entrambi gli occhi; ma non è stata l’unica protagonista del declino di un personaggio che ha perso perché si è rivelato inadeguato, incapace di cogliere lo spirito di una nuova stagione, avversario dei giovani (dove avversario è un eufemismo), insieme ad alcuni dei suoi ministri più rappresentativi che per anni non hanno fatto altro che insultare, minimizzare e schernire un movimento che, alla fine, è esploso in tutta Italia: con le donne lo scorso 13 febbraio e di nuovo l’11 dicembre, a dimostrazione che, tolto il macigno Berlusconi, ci sono ancora moltissime macerie da rimuovere per rimettere in piedi l’Italia; con Articolo 21 e con la società civile; con il PD e gli altri partiti di opposizione; autonomamente, lo scorso 9 aprile, rivendicando che “Il nostro tempo è adesso” e “La vita non aspetta”; alle urne, prima alle Amministrative, poi ai referendum, per riappropriarci dei beni comuni che il centrodestra e i suoi accoliti avrebbero voluto privatizzare e trasformare in merce da svendere al miglior offerente, magari a vantaggio di quegli amici degli amici, comunemente chiamati “faccendieri”, che abbiamo imparato a conoscere attraverso le innumerevoli inchieste giudiziarie che li hanno coinvolti.
Andando al di là del cortile di casa nostra, dobbiamo constatare che è stato anche l’anno dell’orrore giapponese: un terremoto di proporzioni spaventose che l’11 marzo ha sconvolto l’intero Paese e riportato all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale l’importanza di dire basta al nucleare e di sviluppare, una volta per tutte, le energie rinnovabili, spesso accantonate per non ostacolare gli interessi e gli affari di lobby e potentati economici da cui dipendono le sorti di parecchi governi.
Ed è stato anche un anno di violenza, purtroppo, con la strage norvegese compiuta in luglio da Anders Behring Breivik, le rivolte che hanno messo a ferro e alcune città britanniche e la Grecia, devastata da un contesto di disperazione senza precedenti, gli scontri di Roma in ottobre, la recente barbarie di Torino e Firenze, con il campo rom dato alle fiamme nel quartiere della Continassa e i senegalesi assassinati al mercato di piazza Dalmazia.
Perché, allora, di fronte a tante tragedie, di fronte al dramma di un sedicenne ucciso con un pugno dal suo migliore amico per una sigaretta, mi sento di definire comunque il 2011 un anno di speranza? Perché qualcosa è accaduto, il vento del cambiamento ha iniziato a spirare globalmente e i social network hanno aiutato soprattutto le nuove generazioni a creare una comunità così vasta che neppure i regimi più feroci sono riusciti a soffocare la diffusione delle immagini “proibite”: dalla mattanza siriana ai massacri ordinati da Gheddafi prima di arrendersi al cospetto delle forze NATO, giunte in soccorso dei ribelli di Tripoli e della Cirenaica (per il petrolio, non certo solo per ragioni umanitarie, fatto sta che sono accorse).
Terminando il bilancio del 2010, avevo scritto: “Stando così le cose, l’unico auspicio che possiamo pronunciare per il 2011 è che a dicembre ci sia almeno un aspetto da salvare, anche se le premesse sembrano andare in direzione opposta”.
Di aspetti da salvare, in questo 2011, ce n’è ben più di uno, a cominciare dalla svolta politica italiana, e questo mi fa essere ottimista nei confronti di un 2012 che si preannuncia caratterizzato dalla recessione e dall’instabilità internazionale, con l’Europa e l’Euro a rischio, un Occidente in guerra con se stesso e con la fragilità del proprio sistema socio-economico che ormai non basta più a competere con le potenze emergenti, a meno che non si ricorra alla “cinesizzazione” del lavoro, con la chiusura degli stabilimenti e la conseguente delocalizzazione industriale in stile Marchionne.
Tutto ci sarà contro nell’anno che sta per iniziare, andremo incontro a rischi tremendi, ma avremo anche una straordinaria opportunità che dovremo essere abili a cogliere in ogni settore: potremo ricominciare, forse da zero, e costruire insieme un futuro diverso, sicuramente con meno risorse a disposizione ma non per questo necessariamente peggiore.
P.S. Come ogni anno, auguro ai lettori di Articolo 21 e alle loro famiglie un sereno Natale e un 2012 se non prodigo di soddisfazioni quanto meno privo di dolore. Ci rivediamo dopo le Feste.
Roberto Bertoni
Abbiamo assistito, infatti, alla caduta di dittature che duravano ormai da decenni, a seguito di rivolte spontanee di popolo che la stampa internazionale ha posto sotto il titolo di “Primavera araba” e alle quali la prestigiosa rivista “Time” ha dedicato la copertina dell’uomo dell’anno: “The protester”, comprendendo anche i ragazzi che si battono per una Russia libera dall’autocrate Putin e dal suo scudiero Medvedev; i loro coetanei del movimento “Occupy Wall Street”, che si sono ritrovati a Zuccotti Park, e i giovani che in tutto il mondo, non solo nei paesi dell’Africa mediterranea, hanno finalmente alzato la testa per gridare la propria contrarietà ad una crisi che sta mettendo a rischio il nostro futuro.
Gheddafi, Ben Ali, Mubarak: nella conferenza stampa di fine 2010, Berlusconi aveva elogiato pubblicamente i suoi stretti rapporti con questi splendidi esempi di democrazia e, quasi per una nemesi storica, anche lui è stato disarcionato da un potere decennale che ha condotto l’Italia nel baratro dell’incertezza e in una crisi assai più profonda di quanto ci hanno raccontato la maggior parte dei mezzi d’informazione.
Qualcuno ha affermato che, senza la crisi, Berlusconi sarebbe ancora al suo posto. Può darsi, ma mi rifiuto di condividere sempre la visione più cinica, anche perché considero il cinismo elevato a virtù uno dei peggiori mali della nostra epoca.
La crisi ha contribuito in maniera decisiva, per carità, gli ha schierato contro pure categorie che, per “affinità elettive”, lo avevano sostenuto e gli avevano perdonato l’imperdonabile, chiudendo per troppo tempo entrambi gli occhi; ma non è stata l’unica protagonista del declino di un personaggio che ha perso perché si è rivelato inadeguato, incapace di cogliere lo spirito di una nuova stagione, avversario dei giovani (dove avversario è un eufemismo), insieme ad alcuni dei suoi ministri più rappresentativi che per anni non hanno fatto altro che insultare, minimizzare e schernire un movimento che, alla fine, è esploso in tutta Italia: con le donne lo scorso 13 febbraio e di nuovo l’11 dicembre, a dimostrazione che, tolto il macigno Berlusconi, ci sono ancora moltissime macerie da rimuovere per rimettere in piedi l’Italia; con Articolo 21 e con la società civile; con il PD e gli altri partiti di opposizione; autonomamente, lo scorso 9 aprile, rivendicando che “Il nostro tempo è adesso” e “La vita non aspetta”; alle urne, prima alle Amministrative, poi ai referendum, per riappropriarci dei beni comuni che il centrodestra e i suoi accoliti avrebbero voluto privatizzare e trasformare in merce da svendere al miglior offerente, magari a vantaggio di quegli amici degli amici, comunemente chiamati “faccendieri”, che abbiamo imparato a conoscere attraverso le innumerevoli inchieste giudiziarie che li hanno coinvolti.
Andando al di là del cortile di casa nostra, dobbiamo constatare che è stato anche l’anno dell’orrore giapponese: un terremoto di proporzioni spaventose che l’11 marzo ha sconvolto l’intero Paese e riportato all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale l’importanza di dire basta al nucleare e di sviluppare, una volta per tutte, le energie rinnovabili, spesso accantonate per non ostacolare gli interessi e gli affari di lobby e potentati economici da cui dipendono le sorti di parecchi governi.
Ed è stato anche un anno di violenza, purtroppo, con la strage norvegese compiuta in luglio da Anders Behring Breivik, le rivolte che hanno messo a ferro e alcune città britanniche e la Grecia, devastata da un contesto di disperazione senza precedenti, gli scontri di Roma in ottobre, la recente barbarie di Torino e Firenze, con il campo rom dato alle fiamme nel quartiere della Continassa e i senegalesi assassinati al mercato di piazza Dalmazia.
Perché, allora, di fronte a tante tragedie, di fronte al dramma di un sedicenne ucciso con un pugno dal suo migliore amico per una sigaretta, mi sento di definire comunque il 2011 un anno di speranza? Perché qualcosa è accaduto, il vento del cambiamento ha iniziato a spirare globalmente e i social network hanno aiutato soprattutto le nuove generazioni a creare una comunità così vasta che neppure i regimi più feroci sono riusciti a soffocare la diffusione delle immagini “proibite”: dalla mattanza siriana ai massacri ordinati da Gheddafi prima di arrendersi al cospetto delle forze NATO, giunte in soccorso dei ribelli di Tripoli e della Cirenaica (per il petrolio, non certo solo per ragioni umanitarie, fatto sta che sono accorse).
Terminando il bilancio del 2010, avevo scritto: “Stando così le cose, l’unico auspicio che possiamo pronunciare per il 2011 è che a dicembre ci sia almeno un aspetto da salvare, anche se le premesse sembrano andare in direzione opposta”.
Di aspetti da salvare, in questo 2011, ce n’è ben più di uno, a cominciare dalla svolta politica italiana, e questo mi fa essere ottimista nei confronti di un 2012 che si preannuncia caratterizzato dalla recessione e dall’instabilità internazionale, con l’Europa e l’Euro a rischio, un Occidente in guerra con se stesso e con la fragilità del proprio sistema socio-economico che ormai non basta più a competere con le potenze emergenti, a meno che non si ricorra alla “cinesizzazione” del lavoro, con la chiusura degli stabilimenti e la conseguente delocalizzazione industriale in stile Marchionne.
Tutto ci sarà contro nell’anno che sta per iniziare, andremo incontro a rischi tremendi, ma avremo anche una straordinaria opportunità che dovremo essere abili a cogliere in ogni settore: potremo ricominciare, forse da zero, e costruire insieme un futuro diverso, sicuramente con meno risorse a disposizione ma non per questo necessariamente peggiore.
P.S. Come ogni anno, auguro ai lettori di Articolo 21 e alle loro famiglie un sereno Natale e un 2012 se non prodigo di soddisfazioni quanto meno privo di dolore. Ci rivediamo dopo le Feste.
Roberto Bertoni
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