Articolo 21 - Sguardi sul mondo
C’è bisogno di RAI
Sulle condizioni in cui versa la RAI, un tempo “servizio pubblico” e “prima industria culturale del Paese”, c’è poco da aggiungere a quanto non sia già stato scritto su questo sito e su numerosi quotidiani.
La decadenza dell’azienda, culturale prim’ancora che economica (anche se l’aspetto economico è tutt’altro che secondario, specie di questi tempi), denota l’assoluta necessità di un passo indietro collettivo da parte dell’intero Cda, di una riforma immediata della governance (via la Legge Gasparri e i suoi effetti deleteri, per dirla in breve) e della sostituzione di vertici che in troppe circostanze si sono rivelati inadeguati al compito che è stato loro affidato.
L’addio alla RAI di personaggi come la Dandini e Saviano, l’esilio ormai quasi decennale di Sabina Guzzanti, le condizioni sempre più difficili in cui si trovano a lavorare Fazio e la Gabanelli, il “caso Santoro”, che merita un posto nell’immaginario dell’assurdo, sono solo alcuni degli episodi più eclatanti, alla base del declino di un’industria che fino a qualche anno fa era uno dei vanti dell’Italia nel mondo.
L’ultima volta che me ne sono occupato, nel luglio scorso, il già compromesso panorama dell’azienda era ancora in continuo divenire: trattative frenetiche, voci di corridoio, smentite e contro-smentite, incertezza, la paura di ritrovarsi a settembre con una RAI azzoppata, dimezzata, direi quasi vittima di un processo di smobilitazione.
Scrissi all’epoca: “Non sappiamo come andrà a finire il caso Santoro: probabilmente, non lo vedremo più su nessuna rete RAI e questo è un danno non soltanto per l’azienda ma per la democrazia perché certifica che in Italia, dall’“editto bulgaro” in poi, le voci libere non hanno spazio e non devono averne neanche altrove, come dimostra la misteriosa interruzione delle trattative tra il giornalista e La 7.
Sappiamo, di certo, che nei palinsesti RAI della nuova stagione non è previsto “Vieni via con me” e, forse, neppure “Report” di Milena Gabanelli e “Parla con me” di Serena Dandini.
Sarebbe il colpo di grazia per un servizio pubblico già intossicato dalle polemiche, dai sospetti e dai veleni che sempre più stanno emergendo dalle intercettazioni e dalle inchieste.
In un colpo solo, sommando l’addio quasi certo di Santoro, sparirebbero: la trasmissione più seguita dell’approfondimento politico, una larga fetta del giornalismo d’inchiesta, il “teatro civile” e la narrazione di vicende spinose che pochi avevano saputo raccontare prima con la lucidità e l’efficacia di Roberto Saviano e la satira, attendibile termometro dello stato di salute di una democrazia.
In poche parole: scomparirebbe, o quasi, la RAI. Il dramma, però, sta nel fatto che la RAI è destinata comunque a scomparire se non troverà a breve la forza di mettere mano ai palinsesti e di rivolgersi seriamente a tutte le fasce sociali e d’età, senza preoccuparsi dei singolari gusti del Padrone d’Italia”.
Il capo del Governo era ancora Berlusconi, la pressione dello spread iniziava a farsi sentire ed eravamo alle soglie di una delle fasi più critiche nella storia del nostro Paese: quella delle manovre tremontiane, tutte ingiuste, tutte dannose, tutte fuori tempo massimo, fino ad arrivare al commissariamento di fatto dell’Italia ad opera dei partner europei e, finalmente, sia pur con un anno di ritardo, alle auspicate dimissioni del Cavaliere.
Sono trascorsi sette mesi e lo scenario del fu servizio pubblico è addirittura peggiorato, con uno scadimento della qualità complessiva delle trasmissioni offerte e la prospettiva, anzi la certezza, da incubo di un forzato immobilismo che rischia, nel giro di poche settimane, di far precipitare l’azienda nel baratro.
Giunti a questo punto, è bene parlar chiaro e dire le cose come stanno: il governo Monti è appeso a un filo, al flebile filo delle decisioni berlusconiane, poiché il Cavaliere è tutt’altro che morto (figuriamoci se si ritira o si mette a fare il padre nobile!), tutt’altro che intenzionato a lasciargli ancora a lungo la scena ma, soprattutto, per nulla disposto a tornare alle urne (siano esse nel 2012 o alla scadenza naturale della legislatura) con una RAI riformata e veramente plurale, senza più la pessima Legge Gasparri, senza il suo Cda di fiducia, senza la Lei direttore generale.
Non è un caso se Antonio Verro, consigliere di fiducia di Berlusconi, ha scelto di rimanere membro di un Cda in scadenza il prossimo 28 marzo anziché sedersi comodamente sui banchi di Montecitorio. Come non è un caso la scelta, compiuta sempre dal Cda, di prorogare Maccari alla guida del Tg1(cioè un giornalista che sarebbe dovuto andare in pensione e invece rimarrà al suo posto fino al 31 dicembre, usufruendo di un contratto a tempo, con l’unica clausola capestro della possibilità per la RAI di revocarlo in qualsiasi momento senza che egli possa rivalersi) e di nominare Casarin alla Tgr.
Bene ha fatto, anzi benissimo, il consigliere in quota PD Nino Rizzo Nervo a dimettersi e bene, anzi benissimo, ha fatto il PD ad annunciare che non sostituirà Rizzo Nervo, nel tentativo di far saltare questa malefica logica spartitoria che ha logorato la RAI, privandola delle sue migliori risorse.
Detto questo, sono pessimista. Chi si illude che l’asse Berlusconi-Bossi sia finito, si sbaglia di grosso. Sui temi cruciali, per loro naturalmente, i due tornano alleati nel giro di pochi minuti; e poiché per entrambi il governo Monti è uno schiaffo niente indifferente, specie dal punto di vista dell’immagine e della considerazione internazionale, sappiamo che faranno di tutto per liberarsene quanto prima o, peggio ancora, per mettere Bersani con le spalle al muro e costringerlo a fare i conti con provvedimenti che nessun partito al mondo – progressista o conservatore che sia – potrebbe accettare.
A questo punto, però, c’è una sola persona che può porre rimedio allo stallo attuale: il presidente Monti. E chi, per ragioni sulle quali è opportuno sorvolare, continua a dire che Monti di tutto si deve occupare tranne che del servizio pubblico, dice una sciocchezza, anche perché la RAI, al pari dell’acqua, dell’aria e della pubblica istruzione, è un bene comune e come tale dev’essere considerato e trattato.
Infatti, come ha spiegato lo stesso Rizzo Nervo su “Europa” di venerdì scorso: “Chi con ostinazione sostiene che il governo non può in alcun modo intervenire perché altrimenti compirebbe uno strappo costituzionale soprattutto se si rendesse promotore di una riforma fa, inoltre, un errore così grossolano che sono convinto che sbaglia sapendo, però, di sbagliare”.
Presidente Monti, intervenga prima che sia troppo tardi. I cittadini la stimano e sono pure disposti ad accettare i sacrifici che lei sta imponendo, ma uno è superiore alla nostra umana sopportazione: l’idea di dover tornare alle urne con la Legge Gasparri ancora in vigore e una RAI ridotta in queste condizioni.
Roberto Bertoni
La decadenza dell’azienda, culturale prim’ancora che economica (anche se l’aspetto economico è tutt’altro che secondario, specie di questi tempi), denota l’assoluta necessità di un passo indietro collettivo da parte dell’intero Cda, di una riforma immediata della governance (via la Legge Gasparri e i suoi effetti deleteri, per dirla in breve) e della sostituzione di vertici che in troppe circostanze si sono rivelati inadeguati al compito che è stato loro affidato.
L’addio alla RAI di personaggi come la Dandini e Saviano, l’esilio ormai quasi decennale di Sabina Guzzanti, le condizioni sempre più difficili in cui si trovano a lavorare Fazio e la Gabanelli, il “caso Santoro”, che merita un posto nell’immaginario dell’assurdo, sono solo alcuni degli episodi più eclatanti, alla base del declino di un’industria che fino a qualche anno fa era uno dei vanti dell’Italia nel mondo.
L’ultima volta che me ne sono occupato, nel luglio scorso, il già compromesso panorama dell’azienda era ancora in continuo divenire: trattative frenetiche, voci di corridoio, smentite e contro-smentite, incertezza, la paura di ritrovarsi a settembre con una RAI azzoppata, dimezzata, direi quasi vittima di un processo di smobilitazione.
Scrissi all’epoca: “Non sappiamo come andrà a finire il caso Santoro: probabilmente, non lo vedremo più su nessuna rete RAI e questo è un danno non soltanto per l’azienda ma per la democrazia perché certifica che in Italia, dall’“editto bulgaro” in poi, le voci libere non hanno spazio e non devono averne neanche altrove, come dimostra la misteriosa interruzione delle trattative tra il giornalista e La 7.
Sappiamo, di certo, che nei palinsesti RAI della nuova stagione non è previsto “Vieni via con me” e, forse, neppure “Report” di Milena Gabanelli e “Parla con me” di Serena Dandini.
Sarebbe il colpo di grazia per un servizio pubblico già intossicato dalle polemiche, dai sospetti e dai veleni che sempre più stanno emergendo dalle intercettazioni e dalle inchieste.
In un colpo solo, sommando l’addio quasi certo di Santoro, sparirebbero: la trasmissione più seguita dell’approfondimento politico, una larga fetta del giornalismo d’inchiesta, il “teatro civile” e la narrazione di vicende spinose che pochi avevano saputo raccontare prima con la lucidità e l’efficacia di Roberto Saviano e la satira, attendibile termometro dello stato di salute di una democrazia.
In poche parole: scomparirebbe, o quasi, la RAI. Il dramma, però, sta nel fatto che la RAI è destinata comunque a scomparire se non troverà a breve la forza di mettere mano ai palinsesti e di rivolgersi seriamente a tutte le fasce sociali e d’età, senza preoccuparsi dei singolari gusti del Padrone d’Italia”.
Il capo del Governo era ancora Berlusconi, la pressione dello spread iniziava a farsi sentire ed eravamo alle soglie di una delle fasi più critiche nella storia del nostro Paese: quella delle manovre tremontiane, tutte ingiuste, tutte dannose, tutte fuori tempo massimo, fino ad arrivare al commissariamento di fatto dell’Italia ad opera dei partner europei e, finalmente, sia pur con un anno di ritardo, alle auspicate dimissioni del Cavaliere.
Sono trascorsi sette mesi e lo scenario del fu servizio pubblico è addirittura peggiorato, con uno scadimento della qualità complessiva delle trasmissioni offerte e la prospettiva, anzi la certezza, da incubo di un forzato immobilismo che rischia, nel giro di poche settimane, di far precipitare l’azienda nel baratro.
Giunti a questo punto, è bene parlar chiaro e dire le cose come stanno: il governo Monti è appeso a un filo, al flebile filo delle decisioni berlusconiane, poiché il Cavaliere è tutt’altro che morto (figuriamoci se si ritira o si mette a fare il padre nobile!), tutt’altro che intenzionato a lasciargli ancora a lungo la scena ma, soprattutto, per nulla disposto a tornare alle urne (siano esse nel 2012 o alla scadenza naturale della legislatura) con una RAI riformata e veramente plurale, senza più la pessima Legge Gasparri, senza il suo Cda di fiducia, senza la Lei direttore generale.
Non è un caso se Antonio Verro, consigliere di fiducia di Berlusconi, ha scelto di rimanere membro di un Cda in scadenza il prossimo 28 marzo anziché sedersi comodamente sui banchi di Montecitorio. Come non è un caso la scelta, compiuta sempre dal Cda, di prorogare Maccari alla guida del Tg1(cioè un giornalista che sarebbe dovuto andare in pensione e invece rimarrà al suo posto fino al 31 dicembre, usufruendo di un contratto a tempo, con l’unica clausola capestro della possibilità per la RAI di revocarlo in qualsiasi momento senza che egli possa rivalersi) e di nominare Casarin alla Tgr.
Bene ha fatto, anzi benissimo, il consigliere in quota PD Nino Rizzo Nervo a dimettersi e bene, anzi benissimo, ha fatto il PD ad annunciare che non sostituirà Rizzo Nervo, nel tentativo di far saltare questa malefica logica spartitoria che ha logorato la RAI, privandola delle sue migliori risorse.
Detto questo, sono pessimista. Chi si illude che l’asse Berlusconi-Bossi sia finito, si sbaglia di grosso. Sui temi cruciali, per loro naturalmente, i due tornano alleati nel giro di pochi minuti; e poiché per entrambi il governo Monti è uno schiaffo niente indifferente, specie dal punto di vista dell’immagine e della considerazione internazionale, sappiamo che faranno di tutto per liberarsene quanto prima o, peggio ancora, per mettere Bersani con le spalle al muro e costringerlo a fare i conti con provvedimenti che nessun partito al mondo – progressista o conservatore che sia – potrebbe accettare.
A questo punto, però, c’è una sola persona che può porre rimedio allo stallo attuale: il presidente Monti. E chi, per ragioni sulle quali è opportuno sorvolare, continua a dire che Monti di tutto si deve occupare tranne che del servizio pubblico, dice una sciocchezza, anche perché la RAI, al pari dell’acqua, dell’aria e della pubblica istruzione, è un bene comune e come tale dev’essere considerato e trattato.
Infatti, come ha spiegato lo stesso Rizzo Nervo su “Europa” di venerdì scorso: “Chi con ostinazione sostiene che il governo non può in alcun modo intervenire perché altrimenti compirebbe uno strappo costituzionale soprattutto se si rendesse promotore di una riforma fa, inoltre, un errore così grossolano che sono convinto che sbaglia sapendo, però, di sbagliare”.
Presidente Monti, intervenga prima che sia troppo tardi. I cittadini la stimano e sono pure disposti ad accettare i sacrifici che lei sta imponendo, ma uno è superiore alla nostra umana sopportazione: l’idea di dover tornare alle urne con la Legge Gasparri ancora in vigore e una RAI ridotta in queste condizioni.
Roberto Bertoni
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