di Gaëlle Courtens
Nel 2011 la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) si appresta a celebrare con un Convegno e altre iniziative il Centocinquantenario dell'Unità d'Italia. "L’Italia è oggi un paese multiculturale e multireligioso - afferma il pastore metodista Massimo Aquilante, presidente FCEI - la domanda è: questa nuova realtà può essere governata seriamente se non viene assunta da politiche che affrontino in modo realmente democratico i temi dell’immigrazione e dell’integrazione, passando per quelli dei diritti civili e individuali nelle questioni cosiddette eticamente sensibili, fino a quelli più generali del rispetto del principio di laicità?"
Pastore Aquilante, ci può spiegare perché l'Unità d'Italia riveste una particolare importanza per gli evangelici italiani?
I motivi sono vari. Mi limito a richiamarne uno. In quella straordinaria fucina di idee, progetti, aspirazioni che fu il processo risorgimentale, gli evangelici del tempo individuarono il terreno d’impegno per il riscatto politico, civile, morale del popolo italiano. Essi assunsero quest’impegno nella profonda convinzione che l’”Italia nuova”, per la quale si stavano mobilitando le energie migliori del Paese, non avrebbe potuto vedere la luce se non si fosse realizzata contemporaneamente la tanto attesa “riforma religiosa”. Muovendo da questa convinzione, gli evangelici italiani profusero tutte le loro energie, negli anni del Risorgimento e dopo, e praticamente in tutte le contrade della penisola, per annunciare e testimoniare fattivamente l’evangelo della grazia che libera le coscienze, per edificare comunità di donne e uomini che sapessero irradiare la liberazione della fede in Cristo nei loro contesti di vita, spendendosi senza sosta per l’emancipazione dei più deboli attraverso interventi sociali e culturali. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, e con l’acqua anche innumerevoli sconfitte e delusioni. L’intuizione originaria, però, conserva intatta la sua validità e continua ad ispirare l’impegno civile, culturale, sociale e anche politico delle chiese evangeliche italiane, a cominciare dalla battaglia per una vera cultura della laicità e per la difesa del diritto alla libertà religiosa.
Gli evangelici italiani come si preparano a celebrare questa ricorrenza?
Le chiese membro della FCEI hanno già da tempo avviato i loro progetti. La Federazione in quanto tale si è attivata per organizzare un evento culturale nel mese di novembre. Il filo conduttore è costituito dalla domanda di fondo: a che punto siamo oggi con le promesse del Risorgimento? Vi sono questioni, che a buon diritto possono essere dichiarate ferite aperte, che certamente oggi si pongono in modalità nuove ma che hanno a che fare con i nodi irrisolti della storia dell’ultimo secolo e mezzo. Quella più evidente riguarda la “qualità” della democrazia.
Faccio un esempio. L’Italia è oggi un paese multiculturale e multireligioso, la domanda è: questa nuova realtà può essere governata seriamente se non viene assunta da politiche che affrontino in modo realmente democratico i temi dell’immigrazione e dell’integrazione, passando per quelli dei diritti civili e individuali nelle questioni cosiddette eticamente sensibili, fino a quelli più generali del rispetto del principio di laicità? Di tutto questo discuteremo non fra di noi, ma insieme a esponenti politici di orientamento diverso, perché ci pare che la ricorrenza dei 150 anni dell’Unità debba essere veramente un’occasione per “fare memoria”: esercitare lo sguardo critico e autocritico per imboccare la via del cambiamento.
Connesso a questo evento, inoltre, la FCEI curerà due pubblicazioni: la prima dedicata ad alcuni personaggi italiani che abbracciarono le posizioni di fede del protestantesimo; la seconda dedicata al tema del “patto”, parola importante anche nel dibattito politico odierno.
Come valuta le dichiarazioni di alcuni nostri politici, richiamati anche dal presidente Napolitano, che dicono di non avere nulla da festeggiare?
Come un segno deprimente e pericoloso del degrado culturale e morale della classe dirigente del Paese. E’ lecito avere ed esprimere opinioni diverse e anche contrastanti, ma non è assolutamente lecito negare i pilastri su cui poggia la storia, senz’altro faticosa, della convivenza democratica nel nostro Paese. Chi accetta di impegnarsi in politica, e ancor più di sedere in Parlamento, lo fa avendo il bene del Paese all’orizzonte, non i propri interessi di parte, perché l’Italia non è un grande tavolo intorno al quale siedono tanti interessi corporativi e dove vince chi fa la voce più grossa o, peggio ancora, chi gode del favore del capo. Emergono ancora una volta i vizi distruttivi di questa nostra Italia: la mancanza di senso dello Stato, la tendenza a non fare mai fino in fondo i conti col passato, la propensione ad ascoltare solo il più forte, gli egoismi territoriali. La crisi morale che il Paese attraversa è ben più che la somma dei singoli casi di corruzione, è penetrata fin dentro la concezione stessa della “cosa pubblica”. Chi si oppone e resiste a questo scadimento ha sulle sue spalle il compito di proporre innanzitutto una diversa visione della politica, una diversa “cultura” politica. Gli evangelici italiani, pur con tutti i loro limiti, debolezze e pochezze, sono sempre a disposizione per l’impresa di una “Italia nuova”.