Articolo 21 - Appuntamenti
Università Bene Comune
Assemblea nazionale il 24 marzo a Bologna
di Giuliano Garavini
Il protagonista del libro “King Leopold’s Ghost” si accorge ben presto
che qualcosa stava andando storto in Congo: un bel pezzo d’Africa che
alla fine dell’Ottocento era proprietà privata del re del Belgio. A
dar da pensare a Edmund Morel, impiegato di una società di navigazione
inglese che divenne uno degli eroi della campagna internazionale di
denuncia degli orrori perpetrati nel Congo, era lo strano traffico
commerciale fra il Congo e il porto di Anversa. Dall’Africa giungevano
in Europa oro, minerali vari, ricchezze di ogni genere. Nell’altra
direzione le navi viaggiavano vuote, o cariche di soldati e materiale
bellico.
L’università italiana sta subendo, a sua volta, un processo di
spoliazione delle sue risorse più preziose. Gli studenti neolaureati e
i giovani ricercatori si muovono nelle università del nord Europa, in
Gran Bretagna, negli Stati Uniti, quando non verso le università di
paesi emergenti come Brasile, Singapore e Cina. Nell’altra direzione,
poco o nulla. Le risorse intellettuali – evidentemente ancora ben
apprezzate all’estero – abbandonano le nostre università e i nostri
centri di ricerca, senza che allo stesso tempo queste riescano ad
arricchirsi di nuova linfa vitale.
C’è dunque qualcosa che non funzione in Italia. Ma anche gli altri
sistemi universitari del mondo occidentale soffrono, pur con intensità
differenti, gli esiti di un processo quasi trentennale di
finanziarizzazione dell’economia e di sclerosi sociale che sta mutando
alle radice la natura e le finalità dei sistemi di istruzione
superiore. Per elencare solo alcuni dei fenomeni più preoccupanti:
• la pressione per l’aumento delle tasse universitarie, per
l’introduzione di prestiti d’onore (questo avviene anche in Francia
dove le tasse sono 177 euro e il 34 per cento degli studenti ne è
totalmente esonerato) e, di conseguenza, l’inevitabile esito della
riduzione del numero di studenti e laureati;
• la progressiva introduzione di processi di valutazione di
strutture e di singoli ricercatori di carattere bibliometrico e
quantitativo che rischiano di minare la libertà di ricerca e di venir
utilizzati come grimaldello per disciplinare, “razionalizzare”,
privilegiare gli studi tecnici e alla moda su quelli di carattere più
critico e meno mainstream;
• la mancanza di un discorso chiaro rispetto alle finalità dello
studio universitario e su ciò che lo distingue dalla, pur strategica,
formazione professionale. E evidentemente cosa ben diversa dire che
l’università debba essere collegata al “mondo reale” (cioè debba
contribuire a fornire le basi di una lettura competente e critica di
ciò che oggi ci circonda), o che debba essere formare al “mondo del
lavoro” (con il rischio di generare la forma mentis di un precario
obbediente, inquadrato e disposto ai lavori più umilianti);
• la tendenza al ridimensionamento dei sistema universitario (in
Italia in 2 anni sono stati espulsi circa 20mila precari e il nuovo
“decreto programmazione” prevede una ulteriore drastica e devastante
cura dimagrante) e la conseguente creazione di un sistema
universitario binario strutturato su una pluralità di “teaching
uniervsities” di qualità scadente (probabilmente concentrate nel
Mezzogiorno), e poche “research universities” sulle quali si
concentrerebbero le risorse pubbliche e private;
• il ruolo di quelle istituzioni come politecnici e policlinici
universitari che con più facilità attraggono risorse private (e
spadroneggiano nel governo degli atenei) e verso i quali si vogliono
concentrare le risorse;
• il tentativo di far passare l’idea che gli studenti universitari
siano semplicemente beneficiari di un servizio utile a procacciarsi un
lavoro, e come tali consumatori in grado di pagare lautamente e
indebitarsi perché in cambio ne riceveranno benefici sul piano
salariale in futuro.
Inutile nascondersi che le università stanno vivendo all’interno di un
processo di trasformazione basato sul tentativo di farle ridiventare
istituzioni di elite, sull’aumento vertiginoso delle gerarchie interne
e delle logiche butocratiche di potere, sul renderle più adatte ad un
modello di sviluppo fondato sull’assoluta prevalenza di logiche
competitive e di mercato rispetto a quelle cooperative e fondate sulla
partecipazione. In questo le università subiscono le stesse pressioni
che subiscono altri “beni comuni” e hanno ugualmente bisogno di
raccogliere le forze per evitare il loro smantellamento e mettere a
punto vie di uscita che ne salvaguardino la dimensione “pubblica”.
Per questi e per molti altri motivi il 24 marzo si terrà a Bologna la
prima assemblea nazionale su “Università Bene Comune”. Un’iniziativa
che parte dal “basso”, da gruppi di studenti, dottorandi, ricercatori
precari, ricercatori e docenti che negli ultimi due anni si sono
organizzati e battuti contro quella che è diventata la legge Gemini –
tra gli altri promotori Link –Coordinamento universitario-, CPU, ADI,
alcune realtà della R29A, CONPAss). Sarà un’occasione che può avviare
la nascita di uno spazio libero e comune dentro le università. Uno
spazio in grado di generare anticorpi e incentivare la partecipazione.
Sarà un’iniziativa, assai significativamente, tenuta in contemporanea
e in sinergia con un’altra importante iniziativa “l’urlo della scuola”
principalmente rivolta, appunto, al tema della scuola.
di Giuliano Garavini
Il protagonista del libro “King Leopold’s Ghost” si accorge ben presto
che qualcosa stava andando storto in Congo: un bel pezzo d’Africa che
alla fine dell’Ottocento era proprietà privata del re del Belgio. A
dar da pensare a Edmund Morel, impiegato di una società di navigazione
inglese che divenne uno degli eroi della campagna internazionale di
denuncia degli orrori perpetrati nel Congo, era lo strano traffico
commerciale fra il Congo e il porto di Anversa. Dall’Africa giungevano
in Europa oro, minerali vari, ricchezze di ogni genere. Nell’altra
direzione le navi viaggiavano vuote, o cariche di soldati e materiale
bellico.
L’università italiana sta subendo, a sua volta, un processo di
spoliazione delle sue risorse più preziose. Gli studenti neolaureati e
i giovani ricercatori si muovono nelle università del nord Europa, in
Gran Bretagna, negli Stati Uniti, quando non verso le università di
paesi emergenti come Brasile, Singapore e Cina. Nell’altra direzione,
poco o nulla. Le risorse intellettuali – evidentemente ancora ben
apprezzate all’estero – abbandonano le nostre università e i nostri
centri di ricerca, senza che allo stesso tempo queste riescano ad
arricchirsi di nuova linfa vitale.
C’è dunque qualcosa che non funzione in Italia. Ma anche gli altri
sistemi universitari del mondo occidentale soffrono, pur con intensità
differenti, gli esiti di un processo quasi trentennale di
finanziarizzazione dell’economia e di sclerosi sociale che sta mutando
alle radice la natura e le finalità dei sistemi di istruzione
superiore. Per elencare solo alcuni dei fenomeni più preoccupanti:
• la pressione per l’aumento delle tasse universitarie, per
l’introduzione di prestiti d’onore (questo avviene anche in Francia
dove le tasse sono 177 euro e il 34 per cento degli studenti ne è
totalmente esonerato) e, di conseguenza, l’inevitabile esito della
riduzione del numero di studenti e laureati;
• la progressiva introduzione di processi di valutazione di
strutture e di singoli ricercatori di carattere bibliometrico e
quantitativo che rischiano di minare la libertà di ricerca e di venir
utilizzati come grimaldello per disciplinare, “razionalizzare”,
privilegiare gli studi tecnici e alla moda su quelli di carattere più
critico e meno mainstream;
• la mancanza di un discorso chiaro rispetto alle finalità dello
studio universitario e su ciò che lo distingue dalla, pur strategica,
formazione professionale. E evidentemente cosa ben diversa dire che
l’università debba essere collegata al “mondo reale” (cioè debba
contribuire a fornire le basi di una lettura competente e critica di
ciò che oggi ci circonda), o che debba essere formare al “mondo del
lavoro” (con il rischio di generare la forma mentis di un precario
obbediente, inquadrato e disposto ai lavori più umilianti);
• la tendenza al ridimensionamento dei sistema universitario (in
Italia in 2 anni sono stati espulsi circa 20mila precari e il nuovo
“decreto programmazione” prevede una ulteriore drastica e devastante
cura dimagrante) e la conseguente creazione di un sistema
universitario binario strutturato su una pluralità di “teaching
uniervsities” di qualità scadente (probabilmente concentrate nel
Mezzogiorno), e poche “research universities” sulle quali si
concentrerebbero le risorse pubbliche e private;
• il ruolo di quelle istituzioni come politecnici e policlinici
universitari che con più facilità attraggono risorse private (e
spadroneggiano nel governo degli atenei) e verso i quali si vogliono
concentrare le risorse;
• il tentativo di far passare l’idea che gli studenti universitari
siano semplicemente beneficiari di un servizio utile a procacciarsi un
lavoro, e come tali consumatori in grado di pagare lautamente e
indebitarsi perché in cambio ne riceveranno benefici sul piano
salariale in futuro.
Inutile nascondersi che le università stanno vivendo all’interno di un
processo di trasformazione basato sul tentativo di farle ridiventare
istituzioni di elite, sull’aumento vertiginoso delle gerarchie interne
e delle logiche butocratiche di potere, sul renderle più adatte ad un
modello di sviluppo fondato sull’assoluta prevalenza di logiche
competitive e di mercato rispetto a quelle cooperative e fondate sulla
partecipazione. In questo le università subiscono le stesse pressioni
che subiscono altri “beni comuni” e hanno ugualmente bisogno di
raccogliere le forze per evitare il loro smantellamento e mettere a
punto vie di uscita che ne salvaguardino la dimensione “pubblica”.
Per questi e per molti altri motivi il 24 marzo si terrà a Bologna la
prima assemblea nazionale su “Università Bene Comune”. Un’iniziativa
che parte dal “basso”, da gruppi di studenti, dottorandi, ricercatori
precari, ricercatori e docenti che negli ultimi due anni si sono
organizzati e battuti contro quella che è diventata la legge Gemini –
tra gli altri promotori Link –Coordinamento universitario-, CPU, ADI,
alcune realtà della R29A, CONPAss). Sarà un’occasione che può avviare
la nascita di uno spazio libero e comune dentro le università. Uno
spazio in grado di generare anticorpi e incentivare la partecipazione.
Sarà un’iniziativa, assai significativamente, tenuta in contemporanea
e in sinergia con un’altra importante iniziativa “l’urlo della scuola”
principalmente rivolta, appunto, al tema della scuola.
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