di Elisabetta Viozzi
Il pregiudizio che diventa sentenza. Il tribunale dei minori di Napoli ha infatti negato gli arresti domiciliari ad una quindicenne perché, citando il dispositivo, “pienamente inserita negli schemi tipici della cultura rom. Ed è proprio l'essere assolutamente integrata in quegli schemi di vita che rende concreto il pericolo di recidiva”. Una vicenda oscura fin dal suo inizio, quando nel maggio del 2008, il presunto rapimento di una bambina, da parte dell’adolescente rom, scatenò una vera e propria rivolta popolare nel quartiere napoletano di Ponticelli, che culminò nella devastazione dei campi nomadi. Una storia di “ordinaria” intolleranza? Forse non solo. Varie inchieste giornalistiche hanno anche avanzato dei sospetti sul coinvolgimento della camorra in queste vicende, considerando che il territorio dove si trovavano gli insediamenti dei nomadi era destinato ad un imponente progetto edilizio. Un area, insomma, quella occupata dagli zingari, che faceva gola a molti. L’avvocato della quindicenne conferma ai nostri microfoni che, secondo le informazioni in suo possesso, di fatto, gli appalti per il recupero del territorio sul quale sorgevano i campi nomadi, sono stati bloccati dall’autorità giudiziaria per infiltrazioni camorristiche. Ma all’avvocato Valle interessa soprattutto parlare della sentenza, che definisce intollerabile. Perché ci dice, quella che è emerge dalla decisione del tribunale minorile di Napoli è una “condanna a vita”, un destino segnato per tutti i rom, che, in quanto tali sono votati al crimine. Un precedente pericoloso, prosegue Valle, e ci fa un esempio fin troppo chiaro: “in quanto napoletano potrei anch’io essere accusato di appartenere alla camorra”.
Ascolta il Gr solidarietà sul caso di Ponticelli