di Filippo Vendemmiati
Sarà un processo lungo quello che dovrà stabilire cosa è accaduto a Stefano Cucchi. Aveva 31 anni quando la sera del 15 ottobre 2009 fu fermato dai carabinieri per droga, morì la settimana successiva al reparto detenuti dell'ospedale 'Sandro Pertini' di Roma. Pesava 15 chili meno di quando era entrato, “si è spento”, raccontarono alla sorella Ilaria, dopo che i genitori tentarono invano in quei giorni di fare visita al figlio e sempre si frapposero “ostacoli burocratici”.
Saranno 150 le persone ammesse come testimoni dalla Corte d’Assise. Il processo si celebra nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, dodici sono gli imputati: gli agenti della polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici; i medici Aldo Fierro, Stefania Corbi, Luigi De Marchis Preite, Rosita Caponetti, Flaminia Bruno e Silvia Di Carlo; gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe. Sono contestati reati che vanno dalle lesioni e abuso di autorità, al favoreggiamento, all'abbandono di incapace, abuso d'ufficio e falsità ideologica.
Una tredicesima persona non e' più nel processo. Il direttore dell'Ufficio detenuti e del trattamento del Provveditorato regionale dell'Amministrazione penitenziaria, Claudio Marchiandi, e' stato gia condannato a due anni dopo il rito abbreviato.
Per il pubblico ministero Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy, Stefano Cucchi il 16 ottobre 2009 fu picchiato nelle camere di sicurezza del tribunale in attesa dell'udienza di convalida, ma non furono quelle violenze a provocarne la morte. Secondo l’accusa l’unica causa fu la mancata cura del personale medico. Le richieste di farmaci di Stefano Cucchi caddero nel nulla e in ospedale fu lasciato senza assistenza.
La prima udienza del processo e' stata tecnica. Il tempo di ammettere come parte civile il Tribunale per i diritti del malato che si aggiunge ai familiari di Cucchi e al comune di Roma, già ammessi in udienza preliminare, di risolvere una serie di questioni preliminari (respinte, tra le altre, la richiesta di celebrare il processo a porte chiuse e senza telecamere). Prossima e prima vera udienza il 28 aprile per sentire i primi otto testimoni.
“ Il processo sarà pubblico così tutti potranno rendersi conto di cosa è successo, racconta Ilaria Cucchi. Ieri ho visto per la prima volta le persone accusate della morte di mio fratello, in questi mesi nessuno di loro si è mai sentito in dovere di dirci qualcosa, di spiegarci anche la loro versione dei fatti o tanto meno di scusarsi. Non ho avuto la forza di incrociarne gli occhi, sappiano che li giudico tutti moralmente responsabili della morte di Stefano. In quei sei giorni lo hanno trattato come “un ultimo”, come una persona che non meritava niente. Le responsabilità sono di tutti quelli che non hanno voluto vedere “.
Ci saranno decine di udienze, la vita di Stefano sarà radiografata, si tenterà di dimostrare che le colpe in fondo sono solo sue, “che era un drogato e che i familiari lo hanno abbandonato”. Siete pronti ad affrontare questo viatico giudiziario?
“ Lo affronteremo in nome della verità e nel segno della dignità di Stefano. Certo per noi sarebbe stato più semplice rinchiuderci nel nostro dolore, scegliere di non sapere. E invece, se abbiamo scelto di rendere pubblico la nostra tragedia e le nostre vite, compresa quella “difficile” che conduceva mio fratello, lo facciamo solo per ottenere una verità che in tanti modi ci vogliono negare”.
L’accusa ammette le violenze, ma non come concausa della morte. Come tenterete di dimostrare che invece il pestaggio di Stefano in caserma è la prima causa del suo decesso?
“Chiederemo senz’altro una nuova perizia, perché quella attuale rappresenta un’offesa alla logica, oltre che una negazione della verità. I pubblici ministeri non ci hanno ascoltato, sono andati avanti per la loro strada senza ammettere gli sbagli. Indicano una causa della morte, ma non spiegano come è successo e chi l’ha provocata. A volte spero che tutto vada a monte per ricominciare dall'inizio e trovare davvero la verità. Per i pm Stefano sarebbe morto anche se fosse stato a casa. Ma non e' cosi, non e' morto per abbandono dei medici.”