di Domenico d'Amati
Ieri sera nel programma “In Onda”, il prof. Pietro Ichino, quale giuslavorista, ha dato ai telespettatori, in materia di licenziamenti, informazioni inesatte. Egli ha detto che l’articolo 18 dello Statuto determina un’ingessatura del rapporto di lavoro e che consente i licenziamenti per ragioni organizzative soltanto se l’azienda si trova in situazione di crisi. Non è così. Antitutto la facoltà di licenziare non è disciplinata dall’articolo 18 ma dalla legge n. 604 del 1966, che si applica a tutte le aziende, quale che sia il numero dei dipendenti.
Questa legge consente il licenziamento del singolo lavoratore per ragioni organizzative anche se l’azienda va a gonfie vele. Per esempio se l’imprenditore decide di fare a meno di una determinata macchina in seguito all’introduzione di nuove tecnologie, può licenziare il lavoratore ad essa addetto. Se la vicenda finisce davanti al Giudice l’imprenditore, dimostrando di non poter più impiegare il lavoratore, nemmeno con altre mansioni, vincerà la causa. In caso di crisi, quando sia necessario licenziare almeno cinque dipendenti, l’imprenditore potrà farlo agevolmente, ricorrendo all’apposita procedura prevista dalla legge n. 223 del 1991 che ha avuto e sta avendo larga applicazione.
L’articolo 18 non riguarda le possibilità di licenziare, ma le conseguenze del licenziamento illegittimo, in quanto stabilisce che nelle imprese con più di 15 dipendenti esso deve dar luogo alla reintegrazione e non a un semplice indennizzo, come avviene per le piccole aziende.
Questa norma è stata introdotta dallo Statuto dei Lavoratori perché si è constatato che nelle imprese più grandi l’eventualità di dover pagare un indennizzo non scoraggiava i licenziamenti arbitrari. Ed è proprio questo tipo di licenziamenti che si vuol rendere possibili restringendo l’applicazione dell’articolo 18.
Il prof. Ichino ha prospettato gli inconvenienti che derivano alle imprese dalla lunghezza dei processi in materia di lavoro e dalla conseguente incertezza, in caso di licenziamento, sulla possibilità di dover reintegrare il lavoratore.
Gli stessi inconvenienti si verificano per il lavoratore che resta disoccupato in attesa della decisione del Giudice. Tuttavia ad essi può essere posto rimedio potenziando e rendendo più efficiente la giustizia del lavoro. Ciò è possibile come è dimostrato dal fatto che in alcuni centri, come Torino, le cause di lavoro durano pochi mesi. Non si comprende perché negli altri centri i processi durino anni.
La soluzione del problema non richiederebbe grandi investimenti. Risultati utili si potrebbero ottenere, nell’immediato, a costo zero, utilizzando meglio le risorse e sopprimendo gli uffici inutili.
Ciò anche al fine di prevenire le morti bianche. L’ambiente di lavoro è insicuro anche perché chi ci vive non reagisce e non denuncia per timore di perdere il posto. Per questo non si può auspicare un maggior impegno contro le morti bianche senza nel contempo opporsi alle iniziative dirette a flessibilizzare le tutele, restringendo, tra l’altro, l’applicazione dell’articolo 18 dello Statuto. Di questa norma va invece perseguita un’effettiva e rapida applicazione nel caso di licenziamenti ingiustificati o peggio ritorsivi.