Articolo 21 - Editoriali
Rostagno, il delitto non è più al buio
di Rino Giacalone
Il delitto di Mauro Rostagno non è più al buio. A inchiodare gli indagati, il mandante Vincenzo Virga, e il killer Vito Mazzara, non sono solo le 50 pagine dell’ordinanza firmata dal gip Maria Pino, ma il contenuto dei rapporti che nell’ultimo anno e mezzo sono stati presentati alla Dda di Palermo dalla Squadra Mobile del vice questore Linares, che permettono anche di rileggere, in maniera aggiornata, il contenuto dei 34 faldoni dell’inchiesta.
Era tutto davanti gli occhi di tutti, il movente è quello del fastidio della mafia per un giornalista coraggioso e irridente, che dagli schermi di un piccola Tv locale, Rtc, faceva a pezzi il perbenismo politico-mafioso della provincia. Quel 26 settembre 1988 arrivava a Lenzi, dove ad attenderlo c’erano i sicari, da Rtc, Maddalena, sua figlia, ci ha ricordato proprio in questi giorni che il suo ultimo editoriale lo aveva scritto sull'ennesimo delitto di mafia, l'assassinio, a Caltanissetta, del giudice Saetta.
Il dirigente della Mobile dell’epoca, Rino Germanà, oggi questore a Forlì, dopo essere sfuggito ai fucili della mafia a Mazara, nell’anno delle stragi, il 1992, non aveva avuto dubbi a inquadrare il delitto nel contesto mafioso, ma a depistare furono, ricordano i rapporti infilati nei faldoni, strane voci messe in giro, Rostagno «non era così pulito»: calunniare e isolare la vittima è un copione già visto. Sono occorsi 21 anni per arrivare ai presunti autori, alla mafia che aveva deciso il delitto, nel frattempo dagli archivi sono spariti nastri, brogliacci di intercettazioni per esempio.
Tre anni prima davanti ai morti della strage di Pizzolungo, nel 1985, il sindaco del tempo, arrivò a dire che la mafia non c’era, nel 1988 addirittura la stessa frase venne detta dall’allora capo della Procura, Antonio Coci: «Come si fa a dire che Rostagno è stato ucciso dalla mafia… come si fa a dire che esiste la mafia a Trapani?». Qualcuno ha definito ciò «grave anomalia investigativa»», di fatto, come ha detto il pm Ingroia «si è tentato di compromettere e definitivamente l'accertamento della verità».
In un rapporto c’è scritto che lui era venuto a conoscenza di un incontro tra Gelli, il gran maestro della P2, con alcuni massoni trapanesi e due boss, il campobellese Natale L'Ala e il mazarese Mariano Agate. E in un territorio dove si dice, solitamente, «tutto a posto, non si dice niente», Rostagno era un «irregolare». le cose se le sapeva le diceva.
«Lo hanno ammazzato per cose che noi non riusciamo a dire, perché non abbiamo le parole e le prove, ma che tutti sappiamo. Le verità che sconquassano gli assetti del potere politico. Perché non si era posto il problema del potere e non se lo voleva porre» scriverà un giorno l’ex terrorista delle Br Renato Curcio, amico di Rostagno che però era già morto per potere ascoltare il complimento più bello che un giornalista può sentirsi dire.
Era tutto davanti gli occhi di tutti, il movente è quello del fastidio della mafia per un giornalista coraggioso e irridente, che dagli schermi di un piccola Tv locale, Rtc, faceva a pezzi il perbenismo politico-mafioso della provincia. Quel 26 settembre 1988 arrivava a Lenzi, dove ad attenderlo c’erano i sicari, da Rtc, Maddalena, sua figlia, ci ha ricordato proprio in questi giorni che il suo ultimo editoriale lo aveva scritto sull'ennesimo delitto di mafia, l'assassinio, a Caltanissetta, del giudice Saetta.
Il dirigente della Mobile dell’epoca, Rino Germanà, oggi questore a Forlì, dopo essere sfuggito ai fucili della mafia a Mazara, nell’anno delle stragi, il 1992, non aveva avuto dubbi a inquadrare il delitto nel contesto mafioso, ma a depistare furono, ricordano i rapporti infilati nei faldoni, strane voci messe in giro, Rostagno «non era così pulito»: calunniare e isolare la vittima è un copione già visto. Sono occorsi 21 anni per arrivare ai presunti autori, alla mafia che aveva deciso il delitto, nel frattempo dagli archivi sono spariti nastri, brogliacci di intercettazioni per esempio.
Tre anni prima davanti ai morti della strage di Pizzolungo, nel 1985, il sindaco del tempo, arrivò a dire che la mafia non c’era, nel 1988 addirittura la stessa frase venne detta dall’allora capo della Procura, Antonio Coci: «Come si fa a dire che Rostagno è stato ucciso dalla mafia… come si fa a dire che esiste la mafia a Trapani?». Qualcuno ha definito ciò «grave anomalia investigativa»», di fatto, come ha detto il pm Ingroia «si è tentato di compromettere e definitivamente l'accertamento della verità».
In un rapporto c’è scritto che lui era venuto a conoscenza di un incontro tra Gelli, il gran maestro della P2, con alcuni massoni trapanesi e due boss, il campobellese Natale L'Ala e il mazarese Mariano Agate. E in un territorio dove si dice, solitamente, «tutto a posto, non si dice niente», Rostagno era un «irregolare». le cose se le sapeva le diceva.
«Lo hanno ammazzato per cose che noi non riusciamo a dire, perché non abbiamo le parole e le prove, ma che tutti sappiamo. Le verità che sconquassano gli assetti del potere politico. Perché non si era posto il problema del potere e non se lo voleva porre» scriverà un giorno l’ex terrorista delle Br Renato Curcio, amico di Rostagno che però era già morto per potere ascoltare il complimento più bello che un giornalista può sentirsi dire.
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