di Simone Luciani
Vi ricordate di Barack Obama che, appena entrato in carica, riaprì i finanziamenti pubblici alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, come promesso in campagna elettorale? Vi ricordate che perfino il suo avversario, John McCain, si attestava su posizioni simili? Ebbene, dimenticate tutto. Perché qui siamo in Italia, e la tentazione di prendere provvedimenti privi di senso è troppo forte. E questa tentazione si è rivelata irresistibile per il Ministero del Welfare, per le Regioni e perfino per la magistratura.
La vicenda da commedia all’italiana parte a febbraio, quando viene fuori che il nuovo bando di finanziamenti pubblici da 8 milioni di euro istituito dal Ministero del Welfare per la ricerca sulle cellule staminali esclude i progetti sulle embrionali. Inutile dire che se negli Stati Uniti questo tipo di ricerca è potuta sopravvivere, e anzi progredire, nonostante i rubinetti chiusi da Bush, è stato grazie ai finanziamenti privati di cui la ricerca tradizionalmente gode in quel paese. Da noi, invece, senza fondi pubblici è durissima. Ebbene, la denuncia di questa esclusione viene dal ricercatore Giulio Cossu, che ha fatto parte della commissione di scienziati che ha elaborato il bando, e che sottolinea come la versione originale non prevedesse alcuna esclusione. Che, anzi, la condizione per la sua partecipazione alla commissione era stata la non discriminazione verso alcuni rami della ricerca. La prima domanda che sorge spontanea è che senso abbia istituire una commissione per poi non seguirne le indicazioni. Ma comunque. Dalla denuncia scaturisce uno stucchevole rimpallo di responsabilità tra Ferruccio Fazio, Viceministro della Salute, e le Regioni: l’uno accusa le altre di aver voluto l’esclusione dal bando della ricerca sulle embrionali.
A completare il ridicolo quadretto, ci pensa la magistratura. Tre delle nostre massime ricercatrici sulle staminali embrionali, ovvero Elena Cattaneo, Elisabetta Cerbai e Silvia Garagna, ricorrono al Tar contro la discriminazione. E il Tar risponde picche. Le motivazioni sono sconcertanti. Si fa infatti riferimento alla legge 40 sulla fecondazione assistita, che, come noto, vieta la manipolazione a fini di ricerca dell’embrione umano. Cadendo, i giudici, nel luogo comune, e probabilmente fomentandolo, per cui la ricerca sulle embrionali, in Italia, sarebbe vietata. Il che è evidentemente una falsità: i nostri ricercatori, infatti, non possono manipolare gli embrioni esistenti ma possono fare, e fanno, ricerca sulle linee cellulari provenienti dall’estero. Mostrando, tra l’altro, come la legge 40 riesca ad ammantare di ipocrisia la difesa di (discutibilissimi) principi etici e, contemporaneamente, a porre insensati paletti alla ricerca.
La ricerca scientifica è uno di quei temi su cui le dichiarazioni di principio raccolgono l’unanimità sulla sua importanza. E, come spesso accade quando c’è l’unanimità, le dichiarazioni di principio restano tali. Dietro, il vuoto.