Articolo 21 - Editoriali
Una interrogazione parlamentare sullo stato dei giornalisti precari
di Articolo 21
L’Agit (Associazione giornalisti Terzo Millennio) e il gruppo di giornalisti freelance e precari di Articolo 21 esprimono soddisfazione per la presentazione, da parte del senatore Gianpiero D’Alia, presidente gruppo Udc, Svp e autonomie al Senato, di un’interrogazione parlamentare in merito alle vertenze ed alle cause di lavoro dei giornalisti ed al grave stato di disagio che da tempo interessa gran parte della categoria. L’intervento del senatore D’Alia fa seguito alle sollecitazioni poste dall’Agit nelle scorse settimane in merito alle problematiche che riguardano la categoria dei giornalisti. L’interrogazione è un primo, importante segnale d’attenzione da parte della politica verso tematiche che non possono più essere ignorate in un momento in cui il futuro della categoria viene minacciato da condizioni di invivibilità e assenza di forme di tutela adeguate. L’aumento del precariato e delle diverse forme di sfruttamento dei giornalisti va di pari passo con l’inadeguatezza delle risposte, a tutti i livelli, alle richieste di tutela dei propri diritti. Auspichiamo che anche altre forze politiche inizino a porre maggiore attenzione alle istanze della categoria, vessata da livelli di disoccupazione e precarietà che con il passare degli anni hanno superato la soglia d’allarme.
Alleghiamo testo dell’interrogazione parlamentare.
INTERROGAZIONE
Al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro della salute, del lavoro e delle politiche sociali. - Premesso che:
- secondo l’Annuario 2009 dell’Ordine dei giornalisti, oggi esistono in Italia circa 24.000 professionisti e 64.000 pubblicisti regolarmente iscritti all’Albo;
- si tratta di oltre 88.000 specialisti, ai quali è affidato dall’articolo 21 della Costituzione il privilegio, ma anche il grande onere di esercitare la libertà/dovere di stampa. Una categoria che dovrebbe poter esercitare liberamente un dovere costituzionalmente garantito ma che è facilmente ricattabile in forza di una situazione occupazionale non altrettanto garantita, determinata da un rigido taglio delle spese da parte degli editori;
- il problema dello sfruttamento giornalistico è ormai dilagante, gli stessi editori, infatti, si avvalgono con sempre maggiore frequenza di personale non autorizzato dalla legge a esercitare la professione, di contratti a termine, di istituti contrattuali inesistenti nella disciplina giornalistica come gli stage, retribuiti e no, e i contratti a progetto, se non di personale senza alcuna tutela contrattuale, pagato anche un euro ad articolo;
- in una tale situazione il numero delle cause di lavoro è sensibilmente aumentato in proporzione alle diverse forme di sfruttamento e di ricattabilità;
- ai giornalisti precari, sfruttati, non resta che scegliere o un lavoro a condizioni economiche e contributive ai limiti della sopravvivenza oppure una domanda di giustizia che però costerà loro l’uscita dal mercato e dal mondo del lavoro per molti anni;
- quanto certificato dall’Istat, per l’esperimento dei processi di primo grado nelle cause di lavoro trascorrono mediamente 949 giorni, pari a due anni e mezzo, in molteplici tribunali il dato lievita fino a 1.303 giorni, pari a quasi tre anni e mezzo. Per addivenire a delle sentenze definitive, passando anche dal secondo grado, in base ai dati resi pubblici durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2009 ed elaborati dal Sole24Ore, i tempi si allungano mediamente fino a quattro anni e sette mesi. Secondo la stessa fonte, attualmente in Italia sono in corso 1.140.000 cause di lavoro. In pratica, ne è interessato un lavoratore su sessanta;
- il giornalista che denuncia le condizioni di sfruttamento o comunque avvia una vertenza nei confronti di editori inadempienti, non soltanto vedrà trascorrere un decennio per avere giustizia e veder riconosciuti i propri diritti, ma nel frattempo uscirà dal mercato in quanto considerato “ribelle” e piantagrane;
- in questo scenario, matura la progressiva perdita di fiducia dei giornalisti verso un sistema che li penalizza sempre più. E coloro che, pur avendo il diritto dalla propria parte, vorrebbero ricorrere alla giustizia ordinaria si arrestano davanti alla lentezza procedurale, che, in molti casi, assume le connotazioni di un deterrente e permette agli editori di beneficiare di un’arma in più;
- ad un esercito di centinaia di giornalisti italiani che hanno deciso di intraprendere la medesima via legale tocca avvilirsi nelle pastoie burocratiche di un tribunale del lavoro che non sentenzia ma rinvia di anno in anno con qualche "eccellente" eccezione di noti giornalisti televisivi che, di recente, hanno ottenuto un immediato reintegro e un congruo risarcimento del danno in tempi celeri;
si chiede di sapere
quali iniziative e quali provvedimenti il Presidente del Consiglio ed i Ministri in indirizzo intendano assumere per garantire alla categoria dei giornalisti una condizione professionale con maggiori tutele ed una giustizia più equa e più efficiente.
D'ALIA
Alleghiamo testo dell’interrogazione parlamentare.
INTERROGAZIONE
Al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro della salute, del lavoro e delle politiche sociali. - Premesso che:
- secondo l’Annuario 2009 dell’Ordine dei giornalisti, oggi esistono in Italia circa 24.000 professionisti e 64.000 pubblicisti regolarmente iscritti all’Albo;
- si tratta di oltre 88.000 specialisti, ai quali è affidato dall’articolo 21 della Costituzione il privilegio, ma anche il grande onere di esercitare la libertà/dovere di stampa. Una categoria che dovrebbe poter esercitare liberamente un dovere costituzionalmente garantito ma che è facilmente ricattabile in forza di una situazione occupazionale non altrettanto garantita, determinata da un rigido taglio delle spese da parte degli editori;
- il problema dello sfruttamento giornalistico è ormai dilagante, gli stessi editori, infatti, si avvalgono con sempre maggiore frequenza di personale non autorizzato dalla legge a esercitare la professione, di contratti a termine, di istituti contrattuali inesistenti nella disciplina giornalistica come gli stage, retribuiti e no, e i contratti a progetto, se non di personale senza alcuna tutela contrattuale, pagato anche un euro ad articolo;
- in una tale situazione il numero delle cause di lavoro è sensibilmente aumentato in proporzione alle diverse forme di sfruttamento e di ricattabilità;
- ai giornalisti precari, sfruttati, non resta che scegliere o un lavoro a condizioni economiche e contributive ai limiti della sopravvivenza oppure una domanda di giustizia che però costerà loro l’uscita dal mercato e dal mondo del lavoro per molti anni;
- quanto certificato dall’Istat, per l’esperimento dei processi di primo grado nelle cause di lavoro trascorrono mediamente 949 giorni, pari a due anni e mezzo, in molteplici tribunali il dato lievita fino a 1.303 giorni, pari a quasi tre anni e mezzo. Per addivenire a delle sentenze definitive, passando anche dal secondo grado, in base ai dati resi pubblici durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2009 ed elaborati dal Sole24Ore, i tempi si allungano mediamente fino a quattro anni e sette mesi. Secondo la stessa fonte, attualmente in Italia sono in corso 1.140.000 cause di lavoro. In pratica, ne è interessato un lavoratore su sessanta;
- il giornalista che denuncia le condizioni di sfruttamento o comunque avvia una vertenza nei confronti di editori inadempienti, non soltanto vedrà trascorrere un decennio per avere giustizia e veder riconosciuti i propri diritti, ma nel frattempo uscirà dal mercato in quanto considerato “ribelle” e piantagrane;
- in questo scenario, matura la progressiva perdita di fiducia dei giornalisti verso un sistema che li penalizza sempre più. E coloro che, pur avendo il diritto dalla propria parte, vorrebbero ricorrere alla giustizia ordinaria si arrestano davanti alla lentezza procedurale, che, in molti casi, assume le connotazioni di un deterrente e permette agli editori di beneficiare di un’arma in più;
- ad un esercito di centinaia di giornalisti italiani che hanno deciso di intraprendere la medesima via legale tocca avvilirsi nelle pastoie burocratiche di un tribunale del lavoro che non sentenzia ma rinvia di anno in anno con qualche "eccellente" eccezione di noti giornalisti televisivi che, di recente, hanno ottenuto un immediato reintegro e un congruo risarcimento del danno in tempi celeri;
si chiede di sapere
quali iniziative e quali provvedimenti il Presidente del Consiglio ed i Ministri in indirizzo intendano assumere per garantire alla categoria dei giornalisti una condizione professionale con maggiori tutele ed una giustizia più equa e più efficiente.
D'ALIA
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