di Nicola Tranfaglia
Che cosa significa politicamente l’attacco esplicito, e perfino volgare, di Silvio Berlusconi al TG3, cioè all’unico telegiornale della RAI che non è diretto da uomini legati a lui e che ha registrato, negli ultimi mesi, i maggiori ascolti della televisione pubblica sempre più berlusconizzata?
In primo luogo è un tentativo diretto ad eliminare l’ultima voce non consenziente nel mondo televisivo pubblico che il presidente del Consiglio controlla ormai come quello suo commerciale e privato.
Ma significa anche che Berlusconi si prepara alla battaglia di autunno, quando vedremo che la crisi economica non è finita, che la disoccupazione crescerà notevolmente, che i problemi economici e finanziari del paese non potranno più essere accantonati.
Allora sarà importante avere tutti dalla sua parte, soprattutto la televisione che è lo strumento egemone (non l’unico, per fortuna) nel nostro paese. E dunque bisogna provvedere al TG3.
Ma parlare di questo episodio come se fosse normale è la prova più chiara che la nostra democrazia si trova ormai in agonia.
Come è possibile, se è ancora in vigore la costituzione repubblicana, che il capo del potere esecutivo controlli tutti i maggiori mezzi di comunicazione e si proponga addirittura di intervenire con un atto di imperio non previsto dall’ordinamento costituzionale per modificare l’unico TG che non risponde alle sue direttive?
Ed è possibile che esistano in Italia più di centocinquantamila leggi ma non ce né è nessuna in grado di regolare il sistema televisivo?
E’ chiaro ormai che Berlusconi non tiene conto in alcun modo dell’esistenza di una costituzione e agisce come se fosse già abrogata.
Ma può l’opposizione accettare un simile comportamento del governo e del suo capo?
Per la prima volta tutti i partiti che in parlamento, e fuori, si oppongono alla maggioranza berlusconiana hanno parlato con lo stesso linguaggio chiedendo la mobilitazione dell’opinione pubblica nazionale per difendere le libertà civili e politiche del nostro paese.
Nel Partito democratico, che è la forza maggiore dello schieramento di centro sinistra, i candidati alla segreteria, da Franceschini a Bersani e Marino, hanno sostenuto tutti la necessità di agire insieme contro il capo del governo.
Non si può dargli tregua in questo ultimo tentativo di spegnere il dissenso.
La risposta, insomma, è negativa da parte di tutti ma ora bisogna passare all’azione e sapersi organizzare unendo alla battaglia parlamentare quella delle masse popolari che respingono, come fecero tre anni fa nel referendum confermativo lo stravolgimento della costituzione repubblicana, la riduzione dei tre poteri previsti dal nostro ordinamento nell’unico rappresentato dal capo carismatico del populismo autoritario.
Qui non si tratta di inseguire le mete di una volta, quelle del socialismo, ma difendere prima di tutto uno stato liberale e democratico che è in grave pericolo di fronte al demagogo che ci governa.
E non c’è più molto tempo per farlo né si può aspettare la scadenza naturale della prossima legislatura ma bisogna approfittare di tutte le occasioni del gioco democratico, a cominciare dalle prossime elezioni regionali.
L’opposizione può giocare una carta vincente ad alcune precise condizioni: unità assoluta e capacità propositiva.
Non si tratta di inventare nulla di nuovo ma tirar fuori proposte che erano già state espresse ai tempi della vittoria del centro-sinistra nel 2006 e che in quella breve legislatura furono accantonate: dal conflitto di interessi alla riforma del sistema giornalistico e radiotelevisivo.
Si tratta, in altre parole, di adeguare la legislazione italiana a quella europea, stabilire e far applicare regole che sono applicate in tutti i principali paesi dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti e che impediscono a qualunque imprenditore con concessioni dello Stato di andare in parlamento e diventare capo del governo e non permettere che il capo del governo controlli tutti i mezzi di comunicazione.
E’ così difficile lottare per obbiettivi semplici e squisitamente liberali e democratici come questi? E si può, su di essi, formare una coalizione maggioritaria nel paese e provarla prima nelle elezioni locali e regionali, poi in quelle nazionali?
A me non sembra impossibile ma per ottenere i risultati necessari è indispensabile tornare a una concezione della politica come servizio e non lotta per il potere.
Ne saranno e ne saremo capaci quando si scatenerà la battaglia di autunno? Non lo so ma sono convinto che se non ci saranno queste condizioni ci sarà il rischio che il populismo autoritario continui a dominare il nostro paese e a sostituire la costituzione repubblicana con un libretto nero, firmato da Silvio Berlusconi.