di Valter Vecellio
Giorni fa l'istituto di studi e ricerche "Freedom House" ha ulteriormente declassato il nostro Paese, siamo proprio messi male: dieci sono i paesi che hanno perso colpi in fatto di libertà di stampa; l'Italia è in compagnia di Moldavia e Capo Verde. Un altro rapporto, questa volta curato da “Reporter sans frontières” ci pone al 44esimo posto su 173, dietro a Ecuador, Uruguay, Cile e Argentina. Le ragioni della ulteriore retrocessione (da paese libero, “free”, siamo diventati semiliberi, “partly free”) sono descritte in questo significativo passaggio: “Nonostante l’Europa Occidentale goda a tutt’oggi della più ampia libertà di stampa, l’Italia è stata retrocessa nella categoria dei Paesi parzialmente liberi, dal momento che la libertà di parola è stata limitata da nuove leggi, dai tribunali, dalle crescenti intimidazioni subite dai giornalisti da parte della criminalità organizzata e dei gruppi di estrema destra, e a causa dell’eccessiva concentrazione della proprietà dei media”; e ancora: il punto cruciale è costituito “dalla concentrazione insolitamente alta della proprietà dei media rispetto agli standard europei…”.
Da qualche settimana è in libreria un libretto di Nadia Urbinati, “Lo scettro senza il re”, che si occupa di partecipazione e rappresentanza nelle democrazie moderne. “Nessuna delle costituzioni occidentali è attrezzata efficacemente per proteggere il diritto dell’informazione e il pluralismo delle fonti di informazione altrettanto quanto lo è il diritto di voto”, annota Urbinati, “Un diritto che difende sia la libertà di esprimere opinioni che la libertà di essere informati…”. L’informazione come bene pubblico, come la libertà e il diritto; e come libertà e diritto non é un bene a discrezione della maggioranza o pretesa tale: "Essa fa parte perciò dell’onorata tradizione dei poteri negativi e di controllo, anche se il suo è un potere indiretto e informale. Senza questo potere di controllo le democrazie moderne sono a rischio, anche qualora il diritto di voto non sia violato, anche qualora non ci sia più, nemmeno nell’immaginario, l’idea di un altrove rispetto alla democrazia; anche qualora la democrazia non abbia più nemici politici”.
Quasi contemporaneamente è stato pubblicato un altro interessante saggio, di Massimo L. Salvatori: “Democrazie senza democrazia” (Laterza, pagg.96, 14 euro).Si comincia con una riflessione sconsolata: “La cosiddetta sovranità popolare…si trova ad essere profondamente mortificata e largamente svuotata. E il tutto nel contesto di una incessante, assordante ‘ritualità democratica’ e santificazione ideologica della democrazia, alimentata dal fatto che mai come nell’era presente si sono dati nel mondo tanti Stati retti da regimi che si proclamano liberaldemocratici…”(pag.X); e ancora: “Chi può oggi credere che abbia ancora un senso parlare di ‘sovranità popolare’, quando il ruolo del cittadino è ridotto dovunque a quello di un consumatore della politica che ha quale unica possibilità di cambiare fornitore? Sicuramente si tratta di un potere che, per quanto limitato, non è affatto trascurabile ed è senza alcun dubbio assai meglio di nessun potere. Le dittature negano anche questo. Ma possiamo definire democratici dei sistemi soltanto perché non sono dittature? Stando ai processi che effettivamente presiedono alla loro formazione, sembrerebbe più proprio definire i governi dei sistemi oggi chiamati ‘liberaldemocratici’ più propriamente ‘governi a legittimazione popolare passiva’”…(pag.86).
Sull’ultimo numero della “Rivista Italiana di Scienza Politica”, il professor Vincenzo Memoli, che insegna “Metodologia della Ricerca Socio-Politica” all’università del Molise, ha pubblicato un interessante saggio, “Il sostegno democratico in Italia”: “Nonostante il moderato ottimismo generato dai risultati degli studi condotti negli anni Novanta”, scrive Memoli, “non sono pochi gli studiosi che ritengono oggi i cittadini più sfiduciati nei confronti della politica; più scettici nei confronti delle istituzioni; disincantati rispetto all’effettivo funzionamento dei processi democratici…”. Si ricorda uno studio condotto nel 1963 dai professori Gabriel Almond e Sidney Verba “The Civic Culture: Political Attitudes and Democracy in Five Nation” (Princeton University Press). Fin da allora emergeva un dato fondamentale che con il tempo si è consolidato e anzi, aggravato: “Il carente interesse per la politica e il basso livello di informazione condizionavano negativamente la relazione tra cittadino e Stato…”.
Da varie angolazioni, insomma, si arriva a una identica conclusione: il nostro paese è “governato” da un regime non democratico; e la cifra fondamentale di questo regime è la negazione della possibilità di poter conoscere e di essere adeguatamente informati. C’è chi, come Urbinati e Salvatori individua in Berlusconi e nella sua scesa in campo il momento in cui questo processo si è maggiormente concretato; altri ci ricordano che si tratta di una situazione “antica”, che viene da lontano; e Berlusconi semmai è il punto terminale di un processo molto più complesso e articolato, che ha di fatto confiscato il cittadino dell’elementare principio liberale del “conoscere per poter deliberare”. Come sia un po’ tutti riconoscono che “troppi poteri di primaria importanza per la vita dei cittadini sono stati sottratti alle istituzioni figlie del voto popolare, troppi poteri formalmente attribuiti a siffatte istituzioni, sono sostanzialmente depotenziati e al limite annullati da altri poteri”.
Ed è quanto si può ricavare dal “libro giallo” curato qualche mese fa dai radicali: una pubblicazione che documenta concretamente la degenerazione che si é consumata sotto i nostri occhi, la “peste italiana”, che rischia di dilagare e inquinare anche altri paesi (del resto, in un passato non troppo passato, qualcosa del genere é già accaduto). Un qualcosa che meriterebbe di essere studiato e analizzato.
Nel frattempo, la questione informazione é tornata ad essere piu' che mai attuale, urgente, ineludibile. Non si tratta tanto di conquistare un'oncia di informazione parcellizzata nei pastoni politici, una citazione con foto. La questione é piu' complessa, riguarda l'essenza stessa della democrazia, che sta tutto in quel principio einaudiano che Marco Pannella non si stanca di ripetere: solo se si conosce, si puo' decidere con cognizione. Se non si è messi nella condizione di sapere, puo' davvero capitare di tutto. Ed è davvero, letteralmente di tutto, quello che accade.