di Vincenzo Vita
Riforme, tutte, nel 2010. E’ l’annuncio roboante fatto da Silvio Berlusconi in chiave natalizia. Il riferimento è a sondaggi (?) svolti in materia di riassetto istituzionale, in base ai quali due persone su tre lo vorrebbero. Tra l’altro, attenzione all’utilizzo proprio dei sondaggi: sono strumenti pericolosi e ‘violenti’ se non ancorati a riferimenti precisi e trasparenti. A proposito della –giusta- richiesta di abbassare i toni, moderare il linguaggio, e così via. Ci risiamo: riforme sì, riforme no. Il ritornello simbolico di sempre. Simbolico, perché più che intenzioni reali esprime una ben precisa logica politica (e culturale), il tentativo di imporre l’egemonia sull’agenda delle cose da fare. Che serva un impianto anche istituzionale di maggiore efficienza e modernità nell’epoca della rete, dell’e-government , è indiscutibile. Ma sono ormai anni e anni che il discorso sulle riforme evoca nient’altro che scenari presidenzialisti e, nel contempo, copre la drammaticità della situazione sociale. Eppoi, in Italia il baricentro rimane quello squallidissimo delle leggi ad personam, dal ‘processo breve’ al ‘legittimo impedimento’….Altro che riforme.
Di fronte alla riedizione di simile scenario che comunque ha già ottenuto l’effetto di condizionare il dibattito, le opposizioni non possono dividersi tra chi vuole il dialogo con il governo e chi lo rifiuta. E’ già questo un modo per essere subalterni, accettando la gerarchia dei temi da affrontare. Per questo la prima cosa dovrebbe proprio essere il tentativo -da condurre quasi ossessivamente- di riportare al centro della discussione e dell’iniziativa politica la questione sociale. E quella democratica. Dalla disoccupazione in crescita esponenziale, al dramma del precariato, alla violazione dei diritti, al ricorso alle censure. E’ possibile che per farsi sentire i ricercatori dell’Ispra siano costretti a salire sui tetti, o il lavoratori dell’Eutelia a manifestare tutti i giorni, come quelli di Termini Imerese? E come loro tanti, tanti altri. Che Italia è quella berlusconiana, manipolata a reti unificate? Quella dei treni che si bloccano per il gelo annunciato, dopo il battage della Freccia rossa?
Non è facile, ovviamente, imporre un’altra agenda delle priorità, ma da qui è indispensabile ripartire, mettendo in cantiere un tavolo permanente delle opposizioni, dai partiti alle associazioni al ‘popolo viola’.
P.S. Non ci si faccia del male. Perché per le prossime elezioni regionali non si sono fatte ancora le primarie per scegliere i candidati presidenti? Perché non si è raggiunta l’unità in Puglia sul nome di Vendola, senza nulla togliere al sindaco di Bari Emiliano? Il Partito democratico può e deve dare prova di apertura, e di ascolto degli iscritti. Qui sta la differenza con la logica presidenziale e proprietaria che anima –al contrario- il Partito della libertà. La definizione dei candidati presidenti per le prossime regionali è un banco di prova decisivo per ricostruire un nuovo centrosinistra. Del resto, proprio l’apertura a sinistra è stato uno dei punti caratterizzanti del recente congresso. E’ augurabile, dunque, che proprio nella vicenda pugliese non si voglia recedere né dalle primarie né dal coinvolgimento pieno della sinistra. E non solo dell’Udc.