di Valter Vecellio
Hanno detto, di lui, che è un drogato; che è un pupazzo nelle mani dei politici; che in realtà non ha scritto nulla, e che si è limitato a scopiazzare quello che pubblicavano i giornali; che si tratta di un bluff e che è tutta una montatura editoriale…di tutto di più, sul conto di Roberto Saviano, l’autore di “Gomorra”, il libro che racconta con crudezza fatti e misfatti di camorra; e ora anche gli strali di Emilio Fede. Come diceva quel tale? Non ti curar di loro,a guarda e passa.
Dopo aver scritto questo libro, Saviano è stato minacciato, ormai da quattro anni vive sotto scorta, sette uomini che non lo perdono mai di vista. “Gomorra” è un bellissimo libro, di meritato successo; un successo che il suo autore paga caro. Un anno fa Saviano ha pubblicato “La bellezza e l’inferno”, una selezione degli articoli che aveva pubblicato su giornali e riviste; e ora il terzo libro, “La parola contro la camorra”, pubblicato da Einaudi.
Il libro è composto da due parti: lo stenografico della puntata di “Che tempo che fa”, la trasmissione di Fazio, che ospitò Saviano un anno fa; l’altra parte è un testo inedito sul potere di sovversione anticriminale della parola.
“Gomorra” racconta una realtà vissuta come testimone sul campo, sulla strada, in “presa diretta”, si può dire. Diverso il caso di “La parola contro la camorra”. Saviano ha studiato con certosina pazienza atti processuali, sbobinature di intercettazioni telefoniche, verbali di interrogatorio e sentenze. Fonti scritte, insomma. Un lavoro paziente, certosino, di attenta analisi di documenti poco o nulla conosciti. Un lavoro, insomma, di scavo sulla parola. E’ un libro molto bello, e fin dal titolo: alla parola, e al suo uso, Saviano è molto attento: utilizza il termine mafioso solo nei confronti di chi è stato processato e condannato; quando parla della classe politica, si guarda bene dal generalizzare anche se è evidente che il suo è un giudizio molto critico, molto severo, soprattutto la classe politica meridionale e della sua regione, la Campania.
“Le organizzazioni criminali”, dice Saviano, “hanno necessità di portare avanti un assioma: chi è contro di noi lo fa per interesse personale, è pagato da qualcuno, sta facendo carriera personale su di noi”. La carta, insomma, della delegittimazione. E così acquista un senso l’episodio raccontato dallo stesso Saviano, che una volta voleva fare una cosa che facciamo tutti con tranquillità, senza pensarci sopra: mangiare un gelato per strada. “Non lo fare”, consiglia un agente della scorta; e al moto di sorpresa di Saviano, la spiegazione: “Magari qualcuno con telefonino ti scatta una foto, e magari finisce sulle pagine di un giornale e qualcuno può dire: ”Guarda come se la spassa, lo scrittore protetto, mentre noi contribuenti gli paghiamo la scorta…”
Si può capire che un tipo così sia “antipatico”; è capitato anche ad altri, di trovarsi al centro di analoghe polemiche. Ma occorre anche vedere da che parte arriva il colpo. E’ come la certificazione che si sta dalla parte giusta.