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Articolo 21 - Editoriali
Con la Legge Bavaglio e dopo il Caso Ruffini urge per la Rai una nuova ‘governance’
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di Ottavio Olita

La sentenza che conferma la bravura, la competenza, la professionalità di Paolo Ruffini – e impone alla Rai di restituirgli incarichi e mansioni che aveva prima del 25 novembre 2009 – dovrebbe rappresentare l’atto definitivo di condanna di un sistema di governo dell’Azienda che si ripete immutabile dai tempi del trionfo della lottizzazione e che ha trovato la sua massima applicazione nell’epoca del non sanato, colossale conflitto d’interessi dell’attuale Presidente del Consiglio.

Certo non spetta ad Antonio Di Bella farsi da parte, visto che non c’è alcuna certezza che Paolo Ruffini sarà reintegrato nel suo incarico. Anzi, oggi è proprio Di Bella la miglior garanzia che l’ottimo lavoro svolto dal suo predecessore possa andare avanti e che non vengano smantellati o ridimensionati gli appuntamenti con “Parla con me”  o con Roberto Saviano programmati per l’autunno in coppia con Fabio Fazio.  Questo non vuol dire che l’azienda possa tentare di minimizzare quanto accaduto, esattamente come ha sostenuto il consigliere d’amministrazione Nino Rizzo Nervo, perché – ha dichiarato – “la Rai è stata protagonista di un episodio di discriminazione politica intollerabile, non degno di un servizio pubblico. Adesso, per la sua credibilità, può porvi rimedio in un sol modo, restituendo da subito la direzione di Rai3 a Ruffini, come la sentenza le impone”.

 Ed ecco alcuni stralci significativi del dispositivo:  la “delibera di sostituzione del vertice di Raitre non appare dettata da reali esigenze di riorganizzazione imprenditoriale, presentando invece un chiaro connotato discriminatorio e quindi illecita ai sensi dell’articolo 15 della legge 300 del 1970”. Discriminazione – si legge ancora nella sentenza – originata dal ‘collegamento’ tra molte affermazioni della maggioranza e del Governo sulla “faziosità” dei programmi di Rai3 e la sostituzione di Ruffini. La conferma del collegamento – dice ancora il testo – c’è stata quando il direttore generale della Rai (Masi), convocato dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza il 23 settembre 2009, espresse disappunto “sul fatto che reti del servizio pubblico e quindi pagate dai cittadini fanno, diversamente - a suo dire – da tutti gli altri Paesi del mondo, trasmissioni ‘politicamente contro’ (il Governo)”.

 La sostituzione è stata quindi illecita, conclude il Tribunale Civile di Roma, “ancor prima e a prescindere da ogni considerazione su quanto può desumersi dal testo della notizia dell’intercettazione telefonica riguardante la conversazione tra Innocenzi (componente dell’Agicom, ndr) e il dr. Masi riportata nell’articolo del quotidiano ‘La Repubblica’ il 17 marzo 2010”.

 Insomma, è stato lo stesso Direttore Generale, con le sue dichiarazioni di fronte ai Parlamentari della Vigilanza,  a confermare i sospetti sulle vere ragioni della sostituzione di Ruffini, ben diverse dalle asserite esigenze di nuova organizzazione del lavoro. Non è servito, quindi, conoscere il testo della conversazione in cui Masi veniva sollecitato a far fuori Ruffini.

 Dirigenti, direttori, amministratori, dipendenti Rai possono continuare a lavorare in queste condizioni? Michele Serra, nel suo quotidiano corsivo su ‘Repubblica’, si è chiesto domenica scorsa, -  in modo retorico -, con toni sconsolati, chissà quanti fatti simili a questo sonno accaduti nella storia pluridecennale dell’Azienda senza venire alla luce con tale netta evidenza. Cosa dobbiamo fare? Rassegnarci a fare i conti con una Rai che rischia di perdere qualunque credibilità quanto ad autonomia, indipendenza, obiettività? Non credo che il Paese e la sua democrazia possano permetterselo. Ecco perché non basta più neppure pretendere aggiustamenti momentanei, soprattutto in tempi nei quali maggioranza e Governo vogliono mettere il bavaglio all’informazione e ai magistrati con il DdL 1611. E’ urgente invece ridiscutere quale ‘governance’ dare all’azienda, come liberarla dall’interessato protettorato dei partiti, come uscire dalle scorie della lottizzazione e dal controllo diretto del Presidente del Consiglio per restituirle tutta intera la sua autonomia progettuale e organizzativa, dai programmi fino ai radio e telegiornali. Nello scorso mese di gennaio, all’assemblea nazionale di Articolo 21 svoltasi ad Acquasparta, un tema centrale fu proprio questo e ne parlò in modo molto accurato Tana de Zulueta. Al congresso dell’Usigrai ne ha accennato Carlo Rognoni che sta lavorando al progetto di riforma per conto del Pd; in quella stessa occasione il tema è stato affrontato anche dall’on Bucci, del PdL.

 L’ultima vicenda è solo l’ennesima conferma che la Rai, se vuole riprendere a volare complessivamente, e non solo con i successi di alcuni pregevoli programmi, deve essere liberata dai pesanti condizionamenti che la costringono a sacrificare le proprie ricche professionalità per scegliere il basso profilo di un’umiliante omologazione al peggio.

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