di Shukri Said
La sensazione è che questa volta Berlusconi non riuscirà a coronare il sogno di far diventare l’Italia un’agenzia di protezione per pochi.
Gli scandali che negli ultimi anni hanno coinvolto in Italia, sia a destra che a sinistra, personaggi della politica e della finanza sono quasi tutti derivati dalla pubblicazione degli atti di inchieste giudiziarie ed in particolare hanno colpito l’opinione pubblica le conversazioni telefoniche intercettate dalla magistratura. Un indagato, addirittura, si è scoperto che rideva la notte del terremoto de L’Aquila pensando agli appalti della ricostruzione mentre sotto le macerie morivano 308 persone.
Tra i più colpiti vi è stato il Presidente del consiglio dalle cui telefonate si sono apprese alcune preferenze sessuali e l’inclinazione a raccomandare attricette per fiction della TV di Stato, a volte per convincere alcuni avversari politici a passare dalla sua parte.
Più in generale, da queste pubblicazioni è derivato un grave colpo all’immagine della destra e dei suoi esponenti più in vista, sia tra i politici che tra i burocrati, molti dei quali, abituati ad esprimersi in un turpiloquio costante, hanno manifestato la modestia della loro cultura e la tendenza alla corruzione per arricchimento personale anziché, come nella Tangentopoli dei primi anni Novanta, soprattutto per fare politica.
Dal 2005 in poi, con la pubblicazione delle intercettazioni tra i “furbetti del quartierino” per la scalata della Banca Nazionale del Lavoro, vi è stato un aumento del fenomeno dal quale gli italiani hanno appreso la vastità e profondità della corruzione e soprattutto dei meccanismi che la favoriscono. Si è appreso che alla Protezione Civile erano stati delegati, al di fuori delle regole dei bandi pubblici, gli appalti per l’emergenza e che nel concetto di emergenza venivano inclusi anche appalti facilmente programmabili, come le celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia, mentre le spese raddoppiavano in favore di pochissimi appaltatori. Senza stupirsi più di tanto, gli italiani hanno anche appreso che il ministro delle attività produttive, stretto collaboratore di Berlusconi, aveva beneficiato dell’aiuto finanziario di uno di questi appaltatori per ben novecentomila euro in nero per l’acquisto della sua abitazione di fronte al Colosseo e le sue dimissioni per meglio difendersi dal sospetto che qualcuno avesse contribuito, a sua insaputa, a pagare quell’amata casa, hanno suscitato una satira che, anche per la strada, sta corrodendo la credibilità di Berlusconi e di tutti gli uomini di cui si è circondato con preoccupanti riflessi sul consenso al suo governo.
La risposta alla diffusione delle intercettazioni telefoniche è stato un disegno di legge governativo che, anziché punire la corruzione, mira a nasconderla impedendo la pubblicazione degli atti giudiziari sotto pena di pesantissime sanzioni economiche agli editori e del carcere ai giornalisti.
Se si aggiunge la ripetuta richiesta del Premier di ottenere maggiori poteri per governare, dopo che già gestisce un impero mediatico che abbraccia la televisione pubblica e quella privata per complessive sei reti, la maggiore casa editrice italiana e due testate giornalistiche più quelle degli editori che per lui simpatizzano, prende corpo la paura che la legge sulle intercettazioni miri a chiudere all’opinione pubblica l’ultima finestra per sapere cosa succede nella cosa pubblica. Il timore è che la “legge bavaglio” finisca per trasformare l’Italia in una Berlusconia abitata da cittadini all’oscuro del destino delle tasse che pagano, mentre tanti tra quelli ammessi alla gestione del potere per cooptazione scorrazzano a loro piacimento appropriandosi di tutto quanto appropriabile. La grande preoccupazione è che, con questa legge, limitandosi le intercettazioni a pochissimi reati, venga anche meno il più importante strumento investigativo a disposizione della magistratura.
Per vero non ci sarebbe bisogno di una nuova legge, ma di far rispettare il segreto delle investigazioni che, invece, è stato ripetutamente violato e, si afferma, proprio dai magistrati inquirenti che, permettendo il passaggio sotterraneo ai giornalisti anche degli atti privi di rilevanza penale ma di forte impatto per valutazioni di moralità, avrebbero creato le condizioni per processi mediatici fuori delle aule di giustizia ed assai più devastanti per la reputazione degli intercettati perché senza appello. Si risponde, senza convincere, riducendo l’accusa a qualche episodio e che, se un chirurgo sbaglia, non per questo si devono chiudere tutte le sale operatorie.
La stampa, anche quella delle imprese mediatiche di Berlusconi, a sua volta afferma che il controllo da parte dell’opinione pubblica è irrinunciabile e torna a farsi strada la proposta dei Radicali italiani per l’istituzione di un’anagrafe economica degli eletti.
La stampa, la magistratura e gran parte dell’opinione pubblica hanno reagito contro il testo della “legge bavaglio”.
Ma la legge è già arrivata in Parlamento dove è stata approvata dal Senato e ora sta alla Camera dei Deputati in attesa di essere calendarizzato.
La sensazione è che questa volta Berlusconi non riuscirà a coronare il sogno di far diventare l’Italia un’agenzia di protezione per pochi.