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Articolo 21 - Editoriali
Minzulpop e la fabbrica del consenso
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di Floriana Bulfon*

C’era una volta il Minculpop, il ministero della Cultura fascista che inviava ai giornali le veline del Duce per tenere sotto controllo la stampa. Erano i tempi della propaganda e della fabbrica del consenso. Tempi di regime, dove non c’era spazio per la libertà di stampa e per il pluralismo. Oggi dalle veline di carta siamo passati a quelle in carne e ossa, dai giornali alla tv e pare non sia cambiato molto, se non forse che non si sente nemmeno più l’esigenza di un nome istituzionale per nascondere la propaganda e il controllo.

Oggi c’è il Minzulpop. Trasmette i messaggi alla nazione con editoriali via etere, puntuali alle 20 di sera. Il direttorissimo con il passato da “Ecce Bombo” è la perfetta simbiosi con il potere, è l’uomo “Embè” capace di trasformarsi in Scodinzolini e di alleggerire anche la peggior catastrofe del governo.

Minzulpop è un assonante e provocatorio neologismo nato su internet all’indomani della nomina di Augusto Minzolini a direttore del Tg1. E Minzulpop ora è il titolo di un libro, uscito in questi giorni per i tipi di Nutrimenti, scritto da Hari Seldon, uno pseudonimo che raccoglie giornalisti e blogger che hanno partecipato a un progetto collettivo per raccontare l’uso che il Berlusconi politico fa dei media, in particolare della televisione. Il primo a pensarci, pare incredibile, fu il suo portavoce Paolo Bonaiuti, che nel lontano 1994 preannunciò la possibilità che in Italia si potesse tornare al Minculpop. Possibilità trasformata in realtà.

Il libro ripercorre la carriera di Minzolini, «il bracconiere divenuto guardiacaccia», come l’ha descritto Aldo Grasso, il prescelto diventato il volto simbolo della politica che manipola la tv. Solo lui è capace di assoluti silenzi sulle vicende scabrose che riguardano il premier. Perché la sua è una «posizione prudente sui pettegolezzi» e solo lui è in grado di togliere dal vocabolario italiano la parola “prescrizione”. Lui parla di gelato per cani per 10 minuti e da bravo giornalista lancia i veri scoop «lavorare a maglia è tornato di moda». Le notizie si trasformano, si plasmano, ad difesam et ad oblium.

Ma il Minzulpop non è solo il cantante solista Menzognini, così chiamato da Travaglio, è un sistema più completo. L’orchestra a disposizione è composta dai portavoce pronti a intervenire in ogni spazio del palinsesto, dagli “uomini del fare” del  Pdl, dai comunicatori di professione capaci di trasformare la realtà in spot pubblicitario. Ognuno con il suo ruolo, perché la musica sia accattivante e il messaggio corale. E la tv diventa il palcoscenico per la rappresentazione di un mondo irreale, per costruire consenso.

Ogni aspetto della vita politica, ogni problema del paese diventa un problema di comunicazione, da risolvere con la cravatta giusta, il trucco ad hoc e le luci d’atmosfera. Banalità scintillanti, messaggi persuasivi, emozioni. E l’Italia incantata acconsentirà.

Eppure chi ha scritto Minzulpop, chi l’ha letto, chi non guarda più il tg, crede che la fabbrica del consenso abbia raggiunto il capolinea. Crede che ci siano tante persone stanche di omissioni e ovatta. Stanche di un’informazione leggera, di un racconto distante dalla vita reale, di una narrativa da Mulino Bianco. Persone che, parafrasando il direttorissimo, «in franchezza, se so’ rotte».


*da http://www.ffwebmagazine.it/ffw/default.asp

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