di Paolo Lambruschi*
Non è una spietata banda di predoni allo sbando, ma una vera e propria organizzazione di trafficanti di schiavi. Sono i rapitori che tengono in ostaggio i profughi eritrei nelle sabbie del Sinai e che minacciano di ucciderli tutti, nell’indifferenza dei governi e nel silenzio di molti media, se non verrà pagato un riscatto di 8mila dollari. Ne hanno già ammazzati 6 in 48 ore, tra lunedì e martedì.
Ieri il quadro si è arricchito con nuove testimonianze dei prigionieri. I carcerieri consentono loro chiamate con i cellulari a parenti e conoscenti per reperire il riscatto. E i racconti al telefonino, unico legame con il mondo, dimostrano che la rete dei trafficanti è ben radicata nel Nordafrica e in alcune città europee. Le modalità di pagamento prevedono infatti il pagamento attraverso agenzie di money transfer a persone residenti al Cairo oppure la consegna a emissari dell’organizzazione di sensali di uomini in alcune capitali europee, dove vive la nutrita diaspora dalla repubblica del Corno d’Africa. Chi ha potuto, ha pagato così, ma cifre più piccole, solo 500 - 1000 dollari, insufficienti per comprare la libertà. Dunque c’è un piano preordinato dietro al sequestro più di un mese fa del gruppo di 80 eritrei che aveva pagato i passatori per andare in Israele e da lì tentare la rotta terrestre che dalla Turchia arriva in Europa.
«I 74 superstiti – racconta don Mosè Zerai, il sacerdote eritreo della diocesi dell’Asmara che vive Roma e che ha contati quotidiani con gli ostaggi – sono ormai in condizioni disperate. Mangiano una pagnotta ogni due giorni e bevono acqua salata che provoca forti disturbi, non si lavano e sono malmenati».
Dopo il tragico tentativo di fuga di 12 persone, costato tre vittime, i criminali hanno spostato i prigionieri incatenati in capanne di fango e legno più piccole. Questo ha consentito di scoprire la presenza di almeno tre donne in stato di gravidanza.
«Secondo il mio interlocutore ce ne sarebbero altre – conferma don Zerai - ma non sono in grado di dire quante». Intanto ieri è iniziata la mobilitazione delle organizzazioni umanitarie per rompere il muro del silenzio e chiedere al nostro governo di intervenire sul governo del Cairo per salvare gli ostaggi.
«Oggi – commenta padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli – assistiamo a una delle pagine più nere della nostra civiltà: la morte di esseri umani in cerca di libertà. Reagiamo a tutto ciò: poniamo fine alla distruzione del diritto d’asilo e ritorniamo a dare protezione ai perseguitati della terra. Non possiamo restare indifferenti – prosegue il gesuita –nell’apprendere le tragiche notizie che giungono dall’Egitto. Don Zerai sta denunciando un massacro di cui l’Europa e l’Italia sono corresponsabili. Esseri umani in pieno diritto di ottenere protezione internazionale hanno perso la vita nell’indifferenza assoluta delle istituzioni».
Anche la Comunità Papa Giovanni XXIII si è unita agli appelli. «Sei rifugiati sono stati uccisi perché non hanno ceduto al ricatto – ricorda l’associazione – non hanno pagato il prezzo della loro libertà. Facciamo appello al governo italiano, al governo egiziano e alle autorità europee ed internazionali a tutela dei diritti umani affinché intervengano con urgenza perché vengano liberate e salvate queste vite».
*da Avvenire