di Adriano Donaggio
Il referendum Fiat che, secondo le previsioni di Mentana, con i sì avrebbe potuto toccare una punta dell’ 80%, si è affermato con una percentuale del 54% e un 45% che ha detto no. Un successo così, così, visto il ricatto e le pressioni esercitate sul voto. Determinante il voto assolutamente favorevole degli impiegati (roba da percentuali bulgare). Erano i meno toccati dall’ accordo. Nettamente contrario il voto dei lavoratori delle catene di montaggio che pagheranno il prezzo più duro, sia per la pesantezza dei turni imposti, sia per la per la riduzione delle pause, e molto perché lavorano nelle catene di montaggio di uno stabilimento obsoleto, che non ha utilizzato incentivi e finanziamenti dello stato per rinnovarsi, per rendere più moderno, efficiente, produttivo e meno pesante per l’ uomo il lavoro delle catene di montaggio.
Mai un referendum era stato sottoposto a una serie di pressioni così violente. Marchionne: se non vincono i sì, lasciamo Mirafiori, andiamo all’ estero. Berlusconi: se non vincono i sì, è comprensibile che lascino l’ Italia. Sacconi: se non vincono i sì, non ci sono possibilità di recupero. Allineati la gran parte di giornali e telegiornali. Molti pronti a ridurre il problema a: volete perdere il lavoro o prendere l’ offerta di investire, la possibilità di continuare a lavorare? Allineati molti partiti, o loro correnti: siate responsabili, votate sì. Naturalmente lo diciamo nel vostro interesse.
In una situazione del genere il 54% di sì è un successo parziale che spacca l’ azienda (il no maggioritario, dei lavoratori della catena di montaggio è pesante), ed è anche un’ indicatore delle perplessità e delle difficoltà con cui l’ accordo è stato votato. Un osservatore attento e non fazioso deve fare una distinzione su un accordo votato per necessità e un accordo accettato.
Dicono. Marchionne nel 2004 ha ereditato una Fiat in uno stato fallimentare. Nessuno ha fatto un’ analisi di come si fosse arrivati a questo stato di sfascio. Non certamente per colpa dei lavoratori, immaginiamo. Chi nell’ azienda ha sbagliato? Come si è comportato chi dell’ azienda aveva azioni e capitale?
Bene. Quel che è stato è stato. Dicono. Problemi risolti?. No. I problemi cominciano ora. Non è pensabile gestire lo stabilimento senza una componente importante del sindacalismo italiano come la Fiom Cgil.
Non si conosce bene quale sia il piano industriale proposto da Marchionne. L’ uomo, come ha illustrato Marco Travaglio, ha fatto spesso dichiarazioni, analisi, prospezioni che non sono diventate realtà, che lui stesso, nel tempo, ha rapidamente contraddetto o lasciato cadere. Manterrà ora le promesse fatte?
Mentre i lavoratori votavano per il referendum imposto dall’ azienda, l’ Associazione dei costruttori europei diffondeva gli ultimi dati del calo nelle vendite delle autovetture: il 4,9% in meno a livello europeo, il 17% in meno per la Fiat. E’ significativo che mentre la gran parte delle macchine Fiat ha registrato un clamoroso calo nelle vendite (più di tre volte della media europea), la vendita di auto Alfa Romeo è diminuita di solo lo 0,4%. Avete letto bene solo dello 0,4%. Segno che le vendite, e quindi la redditività del prodotto, non dipendono solo dal contratto di lavoro, di chi è alla catena di montaggio, ma anche, molto e soprattutto dalla qualità del prodotto offerto.
Il Governo ha molto puntato sull’ equazione cambiamento delle relazioni intrustiali=modernità=capacità di stare sul mercato.Ovviamente si è citata a proposito e a sproposito la globalizzazione (ma noi possiamo far lavorare i nostri lavoratori come i minatori cinesi solo perché c’ è la globalizzazione?). Non è così.
Se, come ha detto Marchionne, il costo del lavoro in Fiat rappresenta l’ 8% per unità di prodotto (ora diventerà il 7, forse il 6,5%), reggere la competizione globale non può essere affidato alla sola compressione del costo lavoro. La capacità di concorrere dipende e dipenderà sempre di più da altri fattori (ingegnerizzazione e automazione dei processi produttivi, qualità del prodotto, risposta alle esigenze del mercato, credibilità del marchio). Come dimostra il caso Apple, l’ idea, il progetto, è tutto. La globalizzazione si vince così, con la capacità di produrre idee, innovazione a getto continuo. Il costo del lavoro, in uno stabilimento moderno, non lasciato andare all’ obsolescenza, diminuisce di anno in anno per i progressi introdotti dall’ informatica, dall’ automazione, dalle nuove tecnologie. Dal nuovo modo di gestire la produzione dei singoli componenti e loro montaggio, con l’ uomo impegnato a controllare il lavoro delle macchine e non più ad essere macchina tra le macchine.
Basti osservare che negli Stati Uniti, nel campo dell’ auto, hanno rischiato il fallimento i due grandi colossi automobilistici del nord, mentre hanno continuato a produrre gli stabilimenti asiatici situati nel sud degli Stati Uniti (quindi non de localizzati) perché offrivano automobili nuove, adeguate alle nuove esigenze produttive, alle nuove richieste di chi le macchine usa, in poche parole, alle nuove esigenze del mercato. Non hanno vinto sul contratto di lavoro, hanno vinto sul prodotto.
Il governo italiano in questa vicenda ha avuto ben poco da dire e Cisl e Uil gli hanno tolto le castagne dal fuoco. Ma è evidente che è mancata una politica industriale capace di guardare al futuro, a un mondo che sta cambiando. Per questo Obama, la Meckel hanno trattato in prima persona, hanno voluto vedere i piani industriali (la Germania ha discusso i piani delle varie aziende e ha respinto quelli di Marchionne). Il nostro Governo non ha avuto questa visione. Forse, il vecchio Fortebraccio che amava la battuta, direbbe: “Il governo? È a cena”. Non c’ è con la nuova cultura industriale e non riesce ad avere la visione strategica di chi è consapevole dello sviluppo che attende l’ economia produttiva, l’ organizzazione aziendale che ne consegue. Parla di relazione industriali con gli strumenti culturali di un mondo passato. Non ha capito che la tecnologia ha cambiato anche il modo di concepire le relazioni sindacali. Usa termini come innovazione, modernizzazione, ma sono solo parole, retorica gratuita. Il problema vero è questo: che futuro abbiamo con un governo privo di visione prospettica? impegnato com’ è ad autocelebrarsi? Sembra la strega di Biancaneve e i sette nani: specchio, specchio delle mie brame, chi è il miglior governo del reame? Per guardare lontano bisogna saper allontanare lo sguardo dal proprio ombelico e guardare più in là. Non basta tirar fuori a caso parole come modernizzazione, innovazione, per andare verso il futuro. Le parole possono caminare, ma hanno bisogno di un corpo e di una sostanza.