di Bruna Iacopino
Silenzio assordante, credo che quest'espressione coniata per descrivere il silenzio, quello reale che circonda da sempre l'istituzione CIE e i suoi reclusi, sia il modo migliore per definire ciò che in tutti questi anni è stata l'informazione relativa ai moderni lager italiani.
Una definizione che dovrebbe spingere il mondo del giornalismo a compiere una sana e forte auto-critica.
E' dovuta intervenire una circolare emanata dal Ministero dell'Interno per farci aprire occhi e orecchie. E' dovuto arrivare il divieto affinché ci si accorgesse che forse, prima, in qualche modo dentro un CIE ci si poteva entrare, è dovuta arrivare la nuova “emergenza immigrazione” ( come viene spacciata in maniera demagogica) e il lavoro di alcuni bravi e coraggiosi colleghi perché si scoperchiasse quel vaso di Pandora per troppo tempo, colpevolmente coperto. L'emergenza, ne abbiamo ormai esperienza, detta il passo all'agenda politica, così non dovrebbe essere invece per chi ha il diritto-dovere di fare informazione.
L'editoriale di Nicola Tranfaglia pubblicato oggi in apertura del sito evidenzia appunto come ci sia una questione morale che rende subalterna buona parte del mondo dell'informazione alla politica, nel caso specifico questa constatazione mi sembra ancora più vera.
Per anni abbiamo fatto finta di non sapere che dentro i CIE c'erano ( ci sono) uomini e donne innocenti, deprivati di uno dei diritti fondamentali, della libertà, colpevoli solo di non avere un pezzo di carta che riconoscesse loro la dignità di essere persone. Per anni, colpevoli, abbiamo ignorato che dentro quei luoghi si verificavano episodi di violenza e abusi, atti di autolesionismo e tentati suicidi. Per anni abbiamo trattato quegli uomini e quelle donne alla stregua di invisibili senza nome e senza volto, perchè nessuno ce li ha voluti comunicare, certo, ma, c'è da dire, neanche noi siamo stati in grado di chiederne conto. Per anni di Cie si è parlato solo in occasione di gravi rivolte, di incendi, di atti dimostrativi al di fuori di essi, di fughe... trattandoli, in quel caso, alla stregua di pericolosi criminali evasi da un carcere di massima sicurezza e senza tener conto che era solo attraverso atti dimostrativi, a volte eclatanti ( ricordate la protesta delle labbra cucite?), scioperi della fame, sit-in fuori dalle mura di quelle prigioni che era possibile spingere i media a parlare, bene o male che fosse, ma comunque a parlarne.
Se un'informazione a volte diversa è passata è solo grazie all'impegno politico e civile, costante, di uomini e donne ( pochi giornalisti) che da sempre, da quando furono creati i Cpt, lottano perchè quei luoghi vengano soppressi.
Nessuno, dunque, può dire “io non sapevo”... esistono rapporti dettagliati sulle condizioni dei detenuti all'interno dei vari CIE, stilati da organizzazioni come MEDU e MSF, esistono blog e radio indipendenti che da anni cercano di fare da megafono ai reclusi e alle recluse, esistono testimonianze, esistono testi...
Per questo, mi si perdoni il cinismo, mi sento in qualche modo di ringraziare il Ministro dell'Interno per la sua opera di smantellamento di quel “silenzio assordante”, per aver imposto un bavaglio che ci ha fatto vedere quello che già esisteva e prima, in qualche modo, era auto-imposto.
La speranza adesso è che il livello di attenzione venutosi a creare continui ad essere alto a tal punto da consentire finalmente all'opinione pubblica di conoscere e di capire, non solo in occasione della mobilitazione del 25 luglio, ma in maniera costante, e a maggior ragione se dovesse passare la norma per l'estensione del tempo di permanenza.
E sarebbe bello, ma questa è forse utopia, che quel popolo sceso in piazza a difesa della Costituzione in varie occasioni, lo facesse anche in questo caso... per ricordare, a chi lo avesse dimenticato, che quei principi messi nero su bianco debbono essere ancora più validi per chi i propri diritti li ha visti calpestare impunemente per ragioni di opportunismo politico.
iacopino@articolo21.info