di Adriano Donaggio
Andrea Zanzotto è una delle espressioni più alte della cultura italiana. Eppure pensare a lui è pensare a un maestro, uno straordinario studioso, un poeta che solo per un’ ingiustizia non ha ancora ricevuto il premio Nobel, ma anche a una figura familiare. Un maestro, un padre, un amico, un compagno di viaggio che ci fa vedere con occhi nuovi le cose che sono davanti a noi, che sa dare un senso alla vita che prima non avevamo visto; che alla nostra vita, al suo significato, dà nuovi orizzonti. Poche persone come lui sono legate al luogo in cui sono nate e vissute. Ha detto: “I boschi, i cieli, la campagna sono stati la mia ispirazione poetica fin dall’ infanzia”. Ma poche persone come lui, così legato alla propria terra, hanno saputo alimentarsi a una cultura internazionale, a lasciare il segno forte, inciso come su una pietra scavata, di messaggi universali. I suoi versi arricchiscono la vita di tutti. Ovunque siano, ovunque si trovino.
Andrea Zanzotto ha voluto celebrare i suoi novant’anni esprimendo il suo piacere per aver sentito il Capo dello stato riaffermare l’ unità d’ Italia perché, ha dichiarato in un’ intervista concessa a La Stampa, “la lingua e la nostra tradizione letteraria ci hanno insegnato cosa significasse essere italiani e non soltanto fiorentini, lombardi, veneti, piemontesi, o siciliani”.
Parlando della vita, del significato della vita, per definirla, per dire della velocità con cui passa, ha scritto questo verso: “breve nitore di cellule mentali”. Breve. Ma di quale profondità.