di Bruna Iacopino
Quello che è successo a Firenze non può essere derubricato banalmente come il semplice gesto di un pazzo. La comunità senegalese, che in Italia conta, secondo i dati forniti dall'ultimo dossier Caritas/Migrantes più di 80.000 presenze, si interroga in questi giorni di rabbia e di dolore, si interroga e si da, da, delle risposte. Lo fa in Toscana, ma anche a Milano e nella Capitale, da dove domani una rappresentanza della comunità senegalese romana si muoverà verso Firenze per partecipare alla manifestazione organizzata dai fratelli fiorentini.
“C'è rabbia ma c'è soprattutto una profonda tristezza” spiega Mambaye Diop, portavoce del comitato senegalese romano.
“Siamo in Italia da 25 anni, qui viviamo, lavoriamo, paghiamo le tasse, ma continuiamo a stare come in un limbo... c'è chi sacrifica l'intera propria vita qui per mantenere la famiglia in Senegal con la speranza un giorno di poter tornare a casa e cosa succede? che magari vieni ammazzato per strada...”
Mambaye vive in Italia da 13 anni e dice di essere “fortunato” rispetto ad altri suoi connazionali, ma la sua gavetta come tutti l'ha fatta: l'arrivo da clandestino, pagato a caro prezzo, e poi il contratto di lavoro in Italia, anche quello pagato, l'impiego in una fabbrica del nord, l'attività di mediatore culturale, l'insegnamento, il teatro... E domani Firenze.
Come comunità senegalese a Roma che spiegazione avete dato ai fatti di Firenze?
Noi abbiamo una chiave di lettura ben precisa ed è di natura politica. Come si fa a a parlare di un pazzo quando quotidianamente da anni sentiamo esponenti politici predicare odio e razzismo in sedi istituzionali e tramite dichiarazioni pubbliche? Abbiamo forse dimenticato quando Bossi diceva che bisognava affondare i barconi perchè non arrivassero clandestini in Italia, o ai proclami dei tanti sindaci leghisti ai manifesti razzisti che addirittura davano aperta la 'caccia all'immigrato', come fosse selvaggina? Alla luce di questi pochi esempi credo si possa trovare una spiegazione a quanto accaduto a Firenze.
Alla luce di quanto accaduto c'è una sensazione di paura presso la comunità senegalese a Roma?
C'è paura, ma è una sensazione perenne legata alla condizione in cui molti di noi sono costretti a vivere, è il ricatto della clandestinità: se perdi il contratto di lavoro ed entro sei mesi non ne trovi un altro perdi automaticamente il permesso di soggiorno e pur avendo dato il tuo contributo all'economia di questo paese vieni invitato dalle autorità ad andartene. E' una situazione paradossale. Negli ultimi anni sono diventati sempre più frequenti i casi di rientri volontari e questo perchè le condizioni di vita e di lavoro non sono più sostenibili: magari dopo anni passati a lavorare in fabbrica c'è chi si ritrova improvvisamente senza contratto e viene catapultato a vendere in strada, costretto a vivere in case malandate e sovraffollate.
Nel comunicato che avete diffuso c'è scritto “Vogliamo che le sedi dei razzisti di Casa Pound vengano chiuse, vogliamo camminare in pace e in sicurezza per le strade di questo paese” quali altre richieste avanzate alle istituzioni?
Chiediamo lo smantellamento della legge Bossi-Fini, e del successivo pacchetto sicurezza, sorgente di tutti i nostri mali, e chiediamo che i bambini nati e cresciuti in Italia vengano riconosciuti cittadini italiani... ma sappiamo bene che questo secondo obiettivo non è realizzabile senza il raggiungimento del primo. Anche per questo domani andremo a Firenze, perchè le radici dell'odio si combattono anche così, cominciando con l'abbattere delle barriere.
Di seguito il testo del comunicato
LA NOSTRA RABBIA è IMMENSA
COMITATO DEI SENEGALESI
Il 13 dicembre 2011, martedì, a Firenze due senegalesi vengono assassinati da un italiano che la stampa ufficiale si è affrettata a definire "pazzo".
La nostra rabbia è immensa. Ieri abbiamo bloccato il traffico a Porta Maggiore attraverso una manifestazione spontanea, nata come lo sfogo di chi non ha voce. Non ci sentiamo in sicurezza in questo paese. Da qualche anno a questa parte tanti africani hanno perso la vita nell'indifferenza totale delle autorità, che giustificano con la follia tali atti. La sicurezza dovrebbe essere garantita a tutti i cittadini.
Viviamo da più di 25 anni in questo paese.
Viviamo nei quartieri fianco a fianco con gli italiani.
Siamo quotidianamente minacciati, limitati, messi in difficoltà.
Le responsabilità di questa tragedia sono dovute, a nostro avviso, a due cause principali e concatenate: la legislazione italiana sull'immigrazione e le attività di alcuni movimenti di estrema destra legittimati e sdoganati da pratiche politiche concilianti dei nostri governanti.
Migliaia di esseri umani liberi sono diventati esseri umani clandestini a seguito delle leggi sull'immigrazione, dalla Bossi Fini al pacchetto sicurezza, firmato dal Presidente Napolitano. Uno straniero provvisto di permesso di soggiorno che perde il lavoro perde automaticamente anche il permesso e, se entro sei mesi non riesce a trovare un lavoro, diventa clandestino.
Casa Pound da anni predica odio e violenza, e tranquillamente procede con sovvenzioni pubbliche. Chi governa e ha governato questo paese legittima chi propone odio e xenofobia, che fa della guerra al povero, al diverso, al nero la sua politica.
Vogliamo che le sedi dei razzisti di Casa Pound vengano chiuse, vogliamo camminare in pace e in sicurezza per le strade di questo paese.
Nel gennaio 2009, alle porte di Civitavecchia, un poliziotto ha sparato a bruciapelo ad un Senegalese. Era il suo vicino dicasa. Tempo prima aveva chiesto ai ragazzi africani di mettere un telo sul cancello, in modo da non vederli al suo passaggio lungo la strada. Anche questa volta una tragedia a sfondo razzista è stata presentata come il gesto di un folle.
Nel dicembre 2010 è morto a Brescia Saliou Godiaga in una cella di un commissariato. Era diventato clandestino a causa del pacchetto sicurezza dopo anni che era regolare.
Vogliamo organizzare la rabbia dei giorni scorsi per le strade. Vogliamo andare a Firenze domani, sabato 17, per stare insieme ai nostri fratelli, per ricordare quelli morti e per gridare i loro nomi, perché nessuno dimentichi e faccia finta di non vedere quello che è successo e sta succedendo.
Organizziamo la nostra rabbia.
Comitato dei Senegalesi.