di Pietro Nardiello
L’Alzheimer è una malattia silenziosa, perniciosa e allo stesso tesso tempo dirompente. Quando finalmente hai compreso di averla fatta entrare in casa, lei già vi soggiorna da tempo prendendosi gioco di te e del tuo parente “ammalato” con una sottile e velata ironia. La lotta contro questa malattia carsica, almeno per il periodo che definisco impropriamente di incubazione, è duplice per chi si ritrova vicino all’inconsapevole ammalato: si prova ad opporsi contro la stessa malattia senza sapere cosa e come fare e, ironia della sorte, si lotta anche contro i medici in parte incapaci ma, spesso, per nulla predisposti a voler diagnosticare questo tipo di morbo. Quando, poi, arriva anche la diagnosi il calvario da percorrere, finalmente, diventata ufficiale. Eppure l’ultimo Rapporto Mondiale, presentato in occasione della XVIII Giornata Alzheimer, il settembre dello scorso anno, denuncia che ben tre quarti dei 36 milioni di persone stimate con demenza nel mondo non ricevono una diagnosi e non beneficiano né di informazioni né di trattamenti. Una diagnosi precoce – si legge sempre nello stesso Rapporto – potrebbe far risparmiare ben 10.000 dollari per malato. Invece quello che di cui ho preso atto, praticando strutture ASL e Ospedali è di una diffusa e manifesta volontà del personale medico che sembra voler quasi sempre respingere, non ne comprendo i motivi, le richieste di aiuto formulate da parte dei familiari sui quali ricade il compito di dover prestare assistenza al proprio paziente, pur non sapendo come fare, e di dover lottare contro una burocrazia che non facilita ad eludere gli ostacoli ma che ne frappone di ulteriori. La signora Filomena Gioielli, solo per fare un esempio che prendiamo dalla provincia di Caserta, quasi ottantenne, ha impiegato oltre 15 mesi per ottenere il riconoscimento di “invalidità grave” ai sensi della Legge 104 del 92 da parte della ASL la cui commissione giudicatrice, però, le ha fissato nel maggio del 2013 la visita di revisione, proprio come se si trattasse di un’autovettura e non di una persona affetta, leggiamo nel referto, “da malattia generativa di Alzheimer” un morbo per il quale non è prevista alcuna guarigione ma un decorso di otto massimo dieci anni prima di spegnersi definitivamente. Mentre per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento, l’assegno mensile pagato dall’Inps, la signora attende ancora l’ultima visita in barba ad una domanda presentata oltre 19 mesi or sono. Dopo aver parlato di questa piccola ma importante storia, che vede protagonista una signora ottantenne che percepisce una pensione di 587 euro mensili, ricordo che proprio questa indennità, prevista dalla legge nr 18 dell’ 11 febbraio 1980, concessa quale “contributo forfettario per il rimborso delle spese conseguenti all’oggettiva situazione di invalidità”, viene erogata a tutti i cittadini italiani o appartenenti all’Unione Europea residenti in Italia e ai cittadini extracomunitari in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiorna menti di lungo periodo. Nessun limite, se non quello dovuto all’oggettiva invalidità riconosciuta dalle commissioni mediche presso le ASL e al mancato ricovero permanente presso strutture ospedaliere, è previsto dalla legge. A proposito di questa indennità, nel libro “I medici della camorra”, Castelvecchi editore, il cui autore è lo psichiatra Corrado De Rosa, si apprende che anche i boss della camorra, quelli che si sono macchiati dei più efferati delitti percepiscono questa indennità pagata dallo Stato e quindi da noi tutti.
Non credo sia giusto, ancor di più in un momento di crisi economica locale e internazionale, assistere ad una ingiusta politica assistenziale nei confronti di chi si è macchiato di gravi delitti e ha ottenuto dei benefici grazie anche alla manica larga di medici compiacenti. Credo sarebbe doveroso e opportuno pensare ad una legge che revocasse e poi impedisse l’assegnazione di questo assegno a chi ha commesso omicidi di stampo camorristico-mafioso, ricevuto condanne per associazione mafiosa, commesso reati estorsivi o di riciclaggio di denaro. All’interno di questa legge bisognerebbe anche pensare di intervenire su quei medici complici dei boss, che non pagano mai le loro colpe. Lo Stato dovrebbe dotarsi di ulteriori legge con le quali difendere se stesso e i cittadini onesti che attendono quanto giustamente gli spetta per poter condurre dignitosamente una vita che non li voluti sorridere.
Avrei voluto presentare questa idea al prossimo incontro del direttivo di “Articolo 21”, ma problemi familiari non me lo permetteranno, ed è per questo che chiedo al suo portavoce, on.le Beppe Giulietti, e a tutti gli altri parlamentari di questa associazione, di cui mi onoro di far parte, di fare propri i miei suggerimenti, studiarli, approfondirli e tramutarli in una proposta di legge. Io resterò a vostra disposizione per un confronto lì a Roma appena mi sarà possibile farlo. Una legge del genere renderebbe giustizia ai veri ammalati, ma disimpegnerebbe lo Stato dall’esborso di molto denaro che potrebbe essere impegnato in altri capitoli della Sanità pubblica.