di Elisabetta Reguitti
"Caso Mills, Berlusconi vada davanti ai giudici". "I nuovi direttori Rai: grazie Papi". Due titoli di un giornale che non c'è (ma che ci sarà); titoli però che fino ad allora non leggeremo su nessun altro quotidiano italiano. Nonostante ci siano giornalisti che, come Furio Colombo, ritengono che il giornale "debba battere la strada in avanti" ed essere in grado di percepire e soprattutto raccontare i pericoli che la nostra libertà corre. "Perché ci sarà un giorno in cui celebrerete il giorno della memoria della Costituzione e della carta dei diritti dell'uomo" esordisce rivolgendosi ai tanti giovani presenti nella sala Buozzi della Camera del lavoro di Milano. L'occasione è la presentazione di "Io gioco pulito" scritto dall'amico e collega Antonio Padellaro con cui ha condiviso la direzione de l'Unità.
Seduti allo stesso tavolo Massimo Fini e Marco Travaglio; tra il pubblico Corrado Stajano e Sandra Amurri "firme complici" insieme ad Antonio Tabucchi, Oliviero Beha, Maurizio Chierici e Nando Dalla Chiesa del libro edito da Baldini Castoldi Dalai. "Amici prima ancora che colleghi ai quali ho chiesto di raccontare il vuoto che stiamo vivendo. Di farmi compagnia nei miei dubbi. Cercando una spiegazione, una soluzione e anche una speranza" spiega Padellaro.
Per Massimo Fini il segnale di speranza è diventato il palcoscenico del teatro: l'ultimo luogo oggi nel quale si può fare giornalismo. Nel gergo è teatro civile. Nella pratica è un modo per raccontare ciò che avviene oppure è avvenuto nel nostro Paese. Da Travaglio a Beha, da Grillo a Sabina Guzzanti compreso lo stesso Fini. Le cronache come pièce teatrali. Perché si sa: non si usa più fare domande e i politici preferiscono i monologhi. Anzi, a chi rivolge domande viene chiesto "di cambiare atteggiamento per trovare un accordo". Quasi che la libertà di stampa dovesse seguire le regole del Monopoli mentre qualcuno, come Massimo D’Alema, fa sapere di temere addirittura per le stesse sorti della democrazia in Italia.
Ma Fini propone un altro segnale di speranza: "Che ci siano giornalisti che si impegnano a fare giornali senza sponsor politici e possibilmente senza sponsor". Fanta giornalismo? Per molti forse sì. Ma non per quanti, al contrario, pensano all'impresa titanica di un giornale con idee diverse sulla stessa cosa. "E che non chiederà finanziamento pubblico all'editoria", afferma Padellaro.
Un giornale che le canti a chi se le merita - incalza Travaglio che parlando di militarizzazione dei giornali sostiene che la situazione è tale per cui esistono plotoni di giornali che le cantano solo al centrosinistra e piccole pattuglie che le cantano a Silvio Berlusconi. Ma giornali che diano notizie sono sempre più rari. "Perché, se è prefetto che la Repubblica faccia domande a Berlusconi sul caso Noemi è altrettanto giusto che qualcuno chieda spiegazioni a D'Alema sulla scalata Bnl". Un giornale che faccia domande a tutti quelli che devono dare risposte perché rappresentano le istituzioni e quindi anche noi.
Insomma la questione è quale sia "Il Fatto" che interessa i lettori e non tanto la selezione di notizie che si vogliono pubblicare e quelle che, al contrario, è meglio far passare in secondo piano. Ma questo giornale, che dovrebbe vedere la luce a metà settembre, esisterà solo se i lettori lo vorranno. Se daranno un segnale concreto di voler leggere i fatti raccontati da tutte quelle persone che, come dice Massimo Fini, "hanno nostalgia per quei valori pre-politici come lealtà, competenza, e rispetto degli altri". In un regime di libero mercato è giusto quindi dare un'offerta solo se c'è una domanda, sostiene Travaglio anticipando che verrà chiesto ai lettori un abbonamento di sei mesi oppure un anno. Una campagna di 10, 15 mila persone. "In caso contrario vorrà dire che ci saremo sbagliati, che le notizie non interessano a nessuno e continueremo a raccontarcele tra di noi a telefono".