di Nicola Tranfaglia
Ha ragione Stefano Rodotà a segnalare nel suo editoriale sulla Repubblica che siamo prima di tutto mortificati noi italiani come cittadini per l’approvazione, con lo strumento ormai abusato della fiducia (e quindi con i tempi strozzati e l’impossibilità di dissensi nella maggioranza e di emendamenti), della legge sulle intercettazioni.
Abbiamo già messo in evidenza proprio su “articolo 21” i gravi mutamenti introdotti con la legge che avrà l’effetto sicuro di cancellare la cronaca giudiziaria e di riportare i giornali (i telegiornali lo sono già da tempo) allo stato in cui erano nel periodo fascista quando la cronaca non esisteva più, se si escludevano le manifestazioni del regime e di Mussolini. Soprattutto la legge renderà impossibili in molti casi le indagini della magistratura impedendo risultati importanti su fatti di violenza, compresi gli assassini e le storie di mafie, tutte le volte che elementi importanti sarebbero scaturiti da altri processi.
Ma la fretta che ha caratterizzato l’ultima fase di approvazione della legge si spiega, come ha notato ancora Rodotà, soltanto con il bisogno di impedire che perfino quella parte di opinione pubblica che ogni tanto reagisce alle violazioni più evidenti della costituzione e della democrazia, possa venire a conoscenze di fatti che mettono in luce i metodi di governo di Silvio Berlusconi.
In fondo si è voluto reagire agli effetti negativi sul voto recente alle elezioni europee che ha avuto la vicenda del divorzio annunciato di Berlusconi e della ribellione in extremis della moglie Veronica Lario di fronte alle feste sarde del presidente del Consiglio.
E quest’ultimo che già non può essere processato grazie al lodo Alfano neppure se in qualche processo vengono fuori suoi reati comuni, grazie alla nuova legge sulle intercettazioni utilizza la difesa della privacy per togliere agli italiani tutte le notizie e le cronache che, anche in maniera indiretta, possono portare una parte dell’opinione pubblica ad avere dubbi su quello che sta succedendo nell’Italia di oggi.
Da questo punto di vista, c’è da chiedersi che cosa succederà nei prossimi giorni e settimane.
E’ difficile negare che la legge presenti aspetti di incostituzionalità sia in relazione all’articolo 21 della costituzione sia ad altre fattispecie che riguardano l’eguaglianza dei cittadini, i diritti dei magistrati di esercitare l’azione penale come dei giornalisti di svolgere liberamente il loro diritto di cronaca.
Ma, prima ancora di un esame che spetterà alla corte costituzionale quando ne sarà investita, c’è ancora l’attesa della necessaria controfirma del Capo dello Stato che ha promesso un attento esame del testo una volta approvato dal Senato oltre che dalla Camera dei deputati.
E, a giudicare dalla reazione decisa degli editori e dei giornalisti e da articoli critici apparsi anche su giornali di solito vicini al governo, non tutto appare scontato.
Non c’è dubbio, infatti, che la legge appare un tentativo netto di normalizzazione da parte di un governo che tollera sempre di meno qualsiasi accenno di critica o contestazione. E mostra la debolezza, piuttosto che la forza, di un presidente del Consiglio che dispone di un appoggio netto delle televisioni come della maggior parte dei giornali ma che politicamente non è uscito nelle migliori condizioni dal voto europeo.
D’altra parte con la visita di Gheddafi a Roma difficilmente accettabile per le sue modalità perfino da un pezzo della sua maggioranza, rischia di isolarsi e di perdere consensi nella società civile, se non in quella politica.
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