di Claudio Giardullo*
Con il DDL sulle intercettazioni, approvato alla Camera, si consegnano agli investigatori armi sostanzialmente spuntate per la lotta al crimine nel nostro paese.
Limitazione ai soli casi di presenza di gravi indizi di colpevolezza. Tempi più lunghi per ottenere le autorizzazioni. Riduzione della durata. Ridimensionamento delle intercettazioni ambientali. Restrizione nella richiesta dei tabulati telefonici urgenti. Tetto alle spese. Sono queste le modifiche, in peggio, della disciplina di uno strumento di indagine che è stato determinante in moltissimi casi di reati comuni, mafiosi e di terrorismo.
1) Gravi indizi di colpevolezza. È raro che un’indagine abbia inizio già come indagine di mafia, generalmente si giunge a questo livello di attività criminale muovendo da singoli reati non necessariamente di stampo mafioso, come la corruzione, le frodi finanziarie, ma anche l’usura, le estorsioni e gli omicidi. È evidente che limitando le intercettazioni ai gravi, e non ai sufficienti indizi di colpevolezza, si rende più difficile il successo dell’indagine rispetto al singolo reato, ma anche al collegamento con l’attività mafiosa.
2) Giudice collegiale. L’autorizzazione ad intercettare non sarà più richiesta al Gip ma al Tribunale del capoluogo del distretto, che deciderà in composizione collegiale. È evidente che l’avvio di un’indagine sarà più difficile, perché si allungheranno i tempi di risposta dell’autorità giudiziaria, visto che si dovrà riunire un organo collegiale per ogni richiesta o proroga. E perché l’intercettazione, prima richiesta sulla scorta di semplici indizi di reità, non potrà essere più utilizzata per capire in che direzione orientare e sviluppare le indagini, e raggiungere, quindi, un quadro indiziario più completo, cioè la strada che ha consentito, sinora, di indagare con buone possibilità di successo su attività criminose complesse come i reati in materia di stupefacenti, rapine, omicidi, sequestri, associazioni per delinquere.
3) Durata e limiti di tempo. L’aver ridotto la durata delle intercettazioni a 30 giorni, con possibilità di proroga di 15 giorni e con ulteriore proroga di altri 15, solo se sono emersi nuovi elementi, rende ancora più difficile il lavoro chi svolge indagini per reati gravi e complessi, come quelli in materia di sostanze stupefacenti. Gli operatori che eseguono intercettazioni sanno perfettamente che spesso servono settimane di ascolto solo per capire i ruoli delle persone ascoltate, la natura degli affari effettivamente trattati, o le modalità operative del gruppo criminoso.
4) Intercettazioni ambientali. A differenza di quanto accade oggi, l’ascolto sarà possibile solo nei luoghi in cui vi è motivo di ritenere che si stia compiendo un’attività criminosa. È evidente che se il testo della norma resterà questo sarà pressoché inutile fare intercettazioni ambientali, che sono, invece, risolutive in contesti criminali dove chi delinque evita di parlare di certi argomenti al telefono, preferendo trattarli di persona.
5) Tabulati urgenti. I tabulati delle chiamate sono uno strumento utilissimo nella prima fase delle indagini, quando a ridosso di determinati eventi criminosi è necessario incrociare con urgenza i dati per avere i primi elementi su cui impostare gli sviluppi investigativi. Le restrizioni procedurali previste renderanno più difficile l’acquisizione dei tabulati, proprio nella fase dell’indagine in cui i tempi sono determinanti per formare un attendibile quadro indiziario.
6) Tetto alle spese. È evidente che un tetto alle spese per una qualunque attività investigativa, che in quanto tale non è prevedibile e pianificabile, determinerà fortissime limitazioni, specie sul versante del contrasto alle grandi attività criminali.
Meno capacità investigativa e più impunità sarà, dunque, l’effetto di questo pacchetto di misure, che utilizza surrettiziamente la privacy per assestare un altro colpo alla giustizia ed alla sicurezza nel paese.
Un pacchetto di misure che sarebbe sbagliato valutare fuori dal contesto delle politiche di sicurezza adottate dal governo, tutte incentrate sulla riduzione delle risorse per le forze di polizia, sull’investimento verso l’impiego dei militari nel pattugliamento urbano e la diffusione delle ronde.
Politiche incomprensibili e pericolose, perché meno risorse per le forze dell’ordine vuol dire meno controllo del territorio e meno attività investigativa. Perché i militari sono addestrati in altri compiti e non nella prevenzione al crimine, e i sessantaquattro milioni spesi nell’ultimo anno non lasceranno alcun presidio di sicurezza permanente sul territorio. E perché le ronde stanno alla sicurezza come i guaritori stanno alla salute, nella migliore delle ipotesi sono soldi buttati, normalmente occorre aggiustare anche i danni prodotti. Le ronde sono una risposta sbagliata e pericolosa, perché sono un problema e non un ausilio per le forze di polizia, e non danno alcuna garanzia di imparzialità, aspetto decisivo sul versante della sicurezza.
Il DDL sulle intercettazioni si aggiunge a questa inaccettabile strategia di ridimensionamento del ruolo degli organi ai quali la Costituzione affida la tutela della sicurezza e della legalità. Battersi perché questa strategia non abbia successo è un dovere etico e politico, per un paese che vuole garantire rispetto dei diritti e sicurezza ai suoi cittadini.
*Segretario Generale Silp Cgil