di Giulia Cusumano
Una nave di disperati proveniente dalla Libia va respinta. Sempre.
Anche se si tratta di rifugiati politici.
Anche se ci sono donne incinte a bordo.
Un clandestino va processato. Sempre.
Anche se lavora in nero per 3 euro all’ora sotto il caporalato italiano.
Anche se si prende cura delle nostre madri e dei nostri padri, per mandare al suo paese due lire per comprare matite colorate e quaderni per i propri bambini.
Le norme sull’immigrazione contenute nel pacchetto sicurezza sono così perché così le chiedono gli italiani. Continuano a dirci questo, i nostri governanti.
Siamo noi che non li vogliamo.
Seduti sui nostri mezzi pubblici, nei nostri asili, nei nostri ospedali.
Non li vogliamo e non hanno gli stessi diritti che abbiamo noi, che per una circostanza del tutto fortuita del destino siamo nati in Italia, e quindi siamo più umani di loro.
Che se ne stiano nel loro paese.
E allora così sia. Si crei una legge ad hoc, si dia al popolo ciò che vuole.
Il popolo è contento e ringrazia.
Questa è l’Italia di cui ci parlano.
Poi c’è il paese reale.
Fatto anche di persone dotate di una più delicata. ragionevolezza
Quelli che preferirebbero delle politiche che lascino spazio all’inclusione e all’accoglienza, alla tolleranza e al sostegno dei paesi arroventati da guerra e povertà.
Quelli insomma, che Berlusconi definisce senza troppi giri di parole “comunisti buonisti”.
O meglio ancora “cattocomunisti”, come il Ministro Calderoli apostrofò mesi fa il Cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi.
Il temibile cattocomunista ancora una volta ieri è tornato a rompere le uova nel paniere, mettendo in guardia “dall’egoismo sociale, che dietro il velo dell'apparente difesa dei propri diritti, nasconde visioni quanto mai ristrette, di chiusura, di vera e propria contrapposizione”.
Visioni, ha detto il Cardinale, che “vengono lasciate cadere solo quando si è certi che gli altri possano essere funzionali ai propri interessi".
“La solita liturgia”, avranno pensato all’unanimità i governanti.
Ma il pensiero di Tettamanzi non è semplicemente quello di un signore che dice messa.
E’ il pensiero di un uomo consapevole dei problemi legati all’immigrazione, ma che va aldilà del sillogismo di pancia che fa di ogni clandestino l’uomo nero e di ogni italiano l’indifeso da tutelare.
Non fa distinzioni tra diritti di italiani e diritti di disperati.
Sui nostri autobus, nei nostri ospedali, nelle nostre scuole.
E’ il pensiero di un Cardinale, ma anche di tante persone che vivono nel nostro paese.
Intanto, loro, gli intrusi, già si vedono molto meno in giro.
Ci sono, ma sembrano diventati invisibili.
Aspettano, nascosti, per capire se la caccia alle streghe sia per caso già partita.
Come Villi, il rifugiato politico congolese aggredito ieri a Roma da tre uomini per il colore della sua pelle.
“Papà ti ha fatto male gente cattiva?” gli ha chiesto la figlia.
Non ha trovato le parole per risponderle.
“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perchè tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perchè poco attraenti e selvatici ma perchè si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali.” (Ottobre 1912 – Dalla relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli USA)