di Guido Columba*
“Prego, dopo di lei”, “No, prima lei”. Richiamano una cortese contesa a far passare prima l’altro, le ricorrenti affermazioni degli esponenti della maggioranza – venute dopo l’incontro tra il Presidente della Repubblica Napolitano e il ministro della giustizia Alfano – secondo le quali nessuno mai ha pensato di imporre al Senato di approvare in via definitiva in tempi molto stretti il ddl Alfano sulle intercettazioni. Eppure solo pochi giorni fa il calendario era fissato in modo rigido. Esame rapido in Commissione Giustizia sino al 14-15 e votazione conclusiva dell’Aula entro la settimana successiva. Della volontà di porre anche a Palazzo Madama la questione di fiducia non c’erano ancora stati annunci palesi, ma il precedente della Camera era lì a indicare la via.
A ben vedere, però, la data non è la cosa più importante. Fine luglio o metà ottobre non cambia molto. Quello che importa davvero sono i contenuti. E su questo, almeno per ora, non sono venute indicazioni da parte della maggioranza. O forse sì. Quando Filippo Berselli, presidente della Commissione Giustizia dichiara che “se l’opposizione chiederà di ascoltare autorevoli fonti per un ulteriore contributo al confronto, non sarò certo io a dire di no”, come si fa a non pensare al Procuratore nazionale antimafia Grasso, fino ad ieri inascoltato ?
E se questo è, come non pensare che il problema sul quale si concentra l’attenzione siano gli “evidenti indizi di colpevolezza” indispensabili per ottenere il permesso di avviare l’ intercettazione ?
Questione quanto mai importante, certo, perchè è fondamentale che i magistrati possano continuare a disporre del mezzo di indagine più efficace per contrastare il crimine e individuare e punire i responsabili dei reati.
Ma l’attuale stesura del ddl Alfano (quella che alla Camera ha ricevuto in votazione segreta anche l’appoggio di parte delle minoranze) colpisce in due direzioni: le indagini e l’informazione. Il rischio è che in qualche modo le forze politiche alla fine riescano a trovare una via d’uscita all’apparente contrapposizione frontale sulla questione delle indagini e lascino inalterate le parti del ddl che riguardano giornalisti ed editori.
Temi, ce lo siamo detti e ripetuti migliaia di volte in questo anno di lotta contro il ddl Alfano, altrettanto centrali e vitali per una democrazia di quelli che riguardano l’operatività della magistratura. Perché, abbiamo sostenuto, in uno stato democratico moderno magistratura e informazione sono i due sistemi di controllo del potere esecutivo, legislativo ed economico. E dunque l’opinione pubblica non può essere tenuta all’oscuro di quello che accade e anche del modo in cui viene amministrata la giustizia.
La svolta che ha preso la vicenda intercettazioni, dunque, se da un lato costituisce un alleggerimento della tensione, dall’altro non può indurre a facili, e indebiti, ottimismi. La questione della difesa della libertà di stampa e del diritto dei cittadini di essere informati in modo completo, corretto e tempestivo per ora rimane tutta intera. Lo sciopero del 13-14 prossimi indetto dalla Federazione della Stampa, che secondo l’Unci si sarebbe dovuto svolgere già da tempo, deve essere accompagnato dalla riproposizione molto chiara che il ddl Alfano non può far precipitare la libertà d’informazione in una situazione da terzo mondo. E lo deve fare in modo pubblico, con una manifestazione. Non sarebbe proprio comprensibile che il giorno di uno sciopero nazionale, per di più eminentemente politico quale è quello che ci accingiamo a fare, chi lo ha indetto non si facesse vedere in giro ma lasciasse solo a un comunicato il compito di spiegare agli italiani i motivi dello sciopero.
*Presidente Unione Nazionale Cronisti Italiani