di Simone Luciani
Come volevasi dimostrare. Lo stiamo scrivendo da tempo, su questo sito, anche per non essere accusati di dietrologia e per non entrare a pieno titolo nella tribù dell’”io l’avevo detto”, destinata nei prossimi mesi ad affollarsi. Il famigerato DDL Calabrò, orwellianamente definito sul testamento biologico, ha fatto il suo ingresso alla Camera, dopo l’approvazione al Senato e qualche mese di silenzio. Da giorni segnaliamo che il Governo lo considera il tesoretto che può ancora garantirgli il supporto della Cei e del Vaticano, compromesso dalle abitudini private del premier e dagli exploit xenofobi della Lega (aspetti che, oltretevere, fingono di aver scoperto solo oggi). E’ bastato il primo giorno di (non) discussione in Commissione Affari Sociali per capire come l’esecutivo abbia imposto una corsa contro il tempo ai suoi deputati, ahimè pronti a eseguire gli ordini. Anche da parte di molti laici della PDL, sui quali si puntava per porre un freno agli ayatollah che si aggirano per gli scranni di Montecitorio, le prime risposte sono state scoraggianti. Ed è bastato un giorno per vedere l’inverosimile sul piano istituzionale, e cioè il presidente di Commissione Giuseppe Palumbo che, visto il protrarsi delle altre discussioni in programma (una delle quali sulle cure palliative, su cui il governo è riuscito a devastare il testo bipartisan costruito in precedenza per mancanza di fondi), ha pensato bene di convocare i commissari anche di sera, quasi che il testamento biologico fosse un provvedimento d’urgenza. Lo è, evidentemente, per la maggioranza. Da quel che è trapelato e da quel che è stato raccontato, il relatore scelto per il DDL Calabrò alla Camera, Domenico Di Virgilio (ex presidente di lungo corso dell’Associazione Medici Cattolici Italiani e componente della Pontificia Accademia per la Vita), ha svolto la sua relazione d’apertura alle nove e mezza di sera. Un orario da legge finanziaria, insomma, e soprattutto una sorta di déjà-vu dell’ultima settimana di vita di Eluana Englaro, quando per i corridoi di Palazzo Madama si affannavano senatori vestiti da chierichetti impegnati nella corsa contro il tempo per l'approvazione di quello scellerato DDL, e la Commissione Sanità sembrava divenuta (ovviamente con lodevoli e molto significative eccezioni) il Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione iraniano. A questo, purtroppo, andiamo incontro: a settimane in cui, in spregio di ogni buon senso (soprattutto quello istituzionale), si correrà fino all’affanno. E tutto ciò per quel nauseabondo e miserabile scambio tra Governo e vescovi: comprare il silenzio e l’appoggio di questi ultimi con una legge da teocrazia i cui danni ricadranno interamente sui cittadini (un baratto da “piatto di lenticchie”, lo definì Antonio Sciortino su Famiglia Cristiana). L’operazione dell’esecutivo è da piazzisti, e su questo non vi è alcun dubbio. Dall’altra parte, però, c’è un’autorità religiosa che sta dando il peggio di sé: da una parte pretende, senza titolo alcuno, una legge irrazionale, inapplicabile, inutile, antiscientifica, il cui risultato più concreto è la trasformazione della religione in superstizione (non è forse una superstizione, quella del sondino e della nutrizione artificiale?); dall’altra si comporta come un partito politico della peggior filiazione democristiana.
Intanto, Berlusconi ha messo tutti in riga. Si è parlato in questi mesi di una nutrita pattuglia di laici nella PDL, che alla Camera avrebbero sparigliato i giochi. Sono in pochi quelli che nel frattempo sono riusciti a tenere la schiena dritta. Gli altri stanno cedendo: proprio oggi Lucio Barani, laico e socialista, che solo a marzo chiedeva una legge diversa, si è prodotto in una accorata difesa del DDL Calabrò. In quanti, come lui, hanno cambiato idea? Possono essere interpretati come i segni di una maggioranza indebolita e paurosa, quale in effetti è. Ma, per quanto riguarda il testamento biologico, in questi due giorni abbiamo capito che, nonostante le speranze della vigilia, se ci sarà una spallata o anche solo un sussulto non passerà di qui.