di Annibale
Da un po’ di tempo, forse da quando è esplosa improvvisa e violentissima la polemica sulla remissione della scomunica dei quattro vescovi lefebvriani, in Vaticano non c’è più un indirizzo chiaro ed univoco, neanche su questioni di primaria importanza. Negli ultimi tempi molti hanno ritenuto di ravvisare questa diversità di indirizzi in molte circostanze. Ad esempio in occasione della recente udienza concessa al presidente degli Stati Uniti, il segretario del papa, don Georg, è intervenuto tanto personalmente quanto irritualmente, per spiegare ai giornalisti che erano state donate al presidente Usa copie dell’ultima enciclica del papa ma soprattutto del documento vaticano sulla bioetica. In quel momento in molte redazioni si è diffusa l’impressione che il colloquio non fosse andato bene. Pochi minuti dopo però intervenne il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, per spiegare che il papa era rimasto molto favorevolmente colpito dalla personalità del presidente e dalla sua promessa di lavorare per una riduzione degli aborti. Padre Lombardi sapeva benissimo che questa indicazione Obama l’aveva data già in campagna elettorale e più di recente nel suo importantissimo intervento nella cattedrale di Notre Dame (non lo sapevano solo alcuni giornali italiani), ma con questa annotazione ha consentito di dare una rappresentazione positiva del colloquio, interpretando con ogni evidenza le intenzioni della Segreteria di Stato del Vaticano. Anche per quanto riguarda i rapporti con l’Italia si possono intravedere agende diverse, come ha dimostrato la parziale ma comunque pesante sconfessione del segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti, monsignor Marchetto, molto critico sul pacchetto sicurezza. Su questo, come sulla polemica sui comportamenti di Berlusconi, in Vaticano devono esserci idee a dir poco diverse e la segreteria di Stato alla fine ha deciso di lasciare entrambe alla Conferenza Episcopale Italiana, che ha potuto criticare il governo e il premier, sebbene impiegando toni non “ultimativi”. Per i nuovi vertici della Cei è un banco di prova importante, non solo perché gli argomenti sono roventi in sé, ma anche perché su entrambi l’ex presidente della Cei, il cardinale Camillo Ruini, sembra esprimere una posizione più duttile, più comprensiva nei confronti del governo, mentre l’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, una critica più ferma. Così il punto sembra essere questo: la segreteria di stato demanda una critica non feroce su entrambe le questioni alla Conferenza Episcopale, coprendo dissidi curiali; la scelta sembra pagare, quanto meno perché i dissensi, evidenti nei giorni della visita di Obama, rimangono più coperti. Ma i dissensi restano.