di Simone Luciani
A volte accusano la politica di essere litigiosa e di perdere di vista, per piccoli vantaggi di bottega, l’interesse nazionale. Ebbene, oggi abbiamo avuto prova che quando c’è la volontà i nostri governanti sanno fare sintesi.
La vicenda è quella, ormai nota, della sentenza del Tar del Lazio sull’ora di religione. I giudici hanno cancellato un’ordinanza dell’ex Ministro dell’Istruzione Beppe Fioroni che garantiva agli studenti che seguono l’insegnamento della religione cattolica un credito formativo. Non un credito scolastico, ma formativo (che, cioè, riguarda attività varie svolte dallo studente). E gli altri? Secondo l’ordinanza dovrebbero o seguire le fantomatiche attività alternative (che molte scuole non hanno), o provvedono con attività proprie. Insomma, mi pago il corso di pianoforte per ottenere il credito che altri hanno garantito, di fatto, dal Concordato? No. Va anche peggio. Lo capiamo da una surreale intervista rilasciata oggi dallo stesso Fioroni a Repubblica: “L'ora alternativa è determinata e decisa dalle scuole su richiesta degli studenti e contribuisce al massimo per un punto ai crediti formativi per la maturità. Ci sono corsi di pittura batik, danza caraibica, cucina maghrebina e corsa campestre.” Insomma, o segui l’ora di religione o il corso di danza caraibica. E se non sono cattolico e ritengo che il ballo non faccia per me? Appunto, c’è il corso di pianoforte a pagamento. Il problema è serio: ai cattolici viene garantita un’ora a settimana istituzionalizzata dal Concordato e pagata da tutti; per gli altri, (non) si arrabattano le singole scuole. Una discriminazione bella e buona. La risposta data da Fioroni a questo problema è la battuta sulla pittura batik.
Dall’attuale ministra non ci aspettavamo di meglio, e purtroppo avevamo ragione. A metà mattinata uno stizzito monsignor Diego Coletti, presidente della Commissione Episcopale per l’educazione cattolica (fra mille attacchi che meriterebbero un articolo a parte), dichiara: “sotto accusa non è l'opinione della Chiesa ma una circolare del ministero, un qualche cosa che attiene all'organizzazione della scuola di Stato e credo quindi che siano questi gli organismi che debbano muoversi.” Detto fatto. Qualche ora dopo le parole del pastore, la pecorella Gelmini obbedisce: ricorso al Consiglio di Stato. Le motivazioni fanno il paio, per assurdità, con quelle di Fioroni: “La religione cattolica esprime un patrimonio di storia, di valori e di tradizioni talmente importante che la sua unicità deve essere riconosciuta e tutelata.” Che non starnazzino troppo, dunque, i laici e i diversamente credenti: che ne sanno di questa unicità? Per loro niente tutela del Ministero. Al limite, un po’ meno carbone dalla Befana se seguono il corso di danza caraibica. “L'insegnamento della religione cattolica”, prosegue Gelmini, “non costituisce un credito scolastico ma un credito formativo e non incide quindi in maniera diretta sul voto finale.” E se quel credito lo vogliono anche gli ebrei e gli islamici? Che facciano la corsa campestre, come dice Fioroni.
Se qualcuno si degnasse di volare un po’ meno rasoterra, ci si accorgerebbe che il tema dell’ora di religione cattolica almeno un paio di volte l’anno è al centro di polemiche. Ricorsi, sentenze, decreti. Bisognerebbe, ma ci rendiamo conto dell’enormità dei nostri propositi in una realtà come la nostra, avere il coraggio di affrontare il problema alla radice. Cioè: è giusto tenere in piedi un insegnamento pagato da tutti e usato solo da una parte, con insegnanti scelti dalle diocesi e pagati dallo Stato, cui non esistono alternative strutturate? Solo noi ci rendiamo conto che l’ora di religione si riduce da una parte alla lettura del Vangelo o dall’altra a una sorta di psicoterapia di gruppo, a seconda delle inclinazioni del docente? Forse sarebbe ora di percorrere qualche strada alternativa, in una gamma di scelte che va dall’istituzione di ore di religione cattolica, ebraica, islamica, etc. a seconda del credo dello studente (con la poco edificante scena di una classe che, a una data ora, vede frantumarsi la comunità a seconda dell’orientamento dei ragazzi), all’ora di storia delle religioni, alla delega (più che ragionevole) dell’educazione religiosa alle famiglie e non allo Stato. Tutto ciò, però, comporterebbe la revisione del Concordato, e non è aria. Perché Fioroni e Gelmini hanno, appunto, dimostrato di andare oltre i guadagni di bottega e di saper tutelare, assieme, l’interesse nazionale. Ovviamente non dello Stato italiano. Di quello Vaticano.