di Beppe Del Colle*
Se per il Pdl l’unità nazionale sembra pacifica, non è così per la Lega, che vuole disfarsene. Il Centrosinistra elogia l’individualismo più estremo, ma lo condanna se a praticarlo è il Cavaliere.
L’attuale fase della politica italiana ha la sua radice nella scomparsa del principio di non contraddizione, ben noto lungo i millenni. Ecco gli esempi più evidenti.
Berlusconi. Ha dato al suo partito il nome di Popolo della libertà, ma non si conosce nessun leader politico liberale che abbia mai detto qualcosa di simile alle parole da lui pronunciate nell’ultima conferenza stampa (dopo aver qualificato come "delinquenti" i giornalisti di Repubblica): «Non possiamo più sopportare che la Rai sia l’unica televisione al mondo che con i soldi di tutti attacchi il Governo. La Rai faccia il servizio pubblico e non attacchi né il governo né l’opposizione». Dunque, quello che conta sono i soldi di chi paga i giornalisti (tali sono anche quelli che lavorano in Rai): un bell’esempio di potere padronale sull’esercizio dell’informazione, di cui non c’è traccia nel pensiero liberale.
Non basta. Il Popolo della libertà è nato dalla fusione di due partiti, Forza Italia e Alleanza nazionale, nei quali l’unità nazionale sembrava pacificamente accettata. Ma nella maggioranza chi comanda è la Lega, che quell’unità conta di eliminare nel più breve tempo possibile.
Bossi. Nel suo comizio a Pontida, la scorsa settimana, ha entusiasmato il suo popolo al grido di "Padania libera". Libera da che cosa? Naturalmente da "Roma ladrona" (come se a Milano nessuno mai avesse rubato), ma anche libera di disfarsi – con leggi discriminanti, ronde, dialetti nelle scuole – di quanti vengono a disturbarla dal resto della Penisola o dal mondo. In ciò il senatùr contraddice un altro gran lombardo almeno quanto lui, Alessandro Manzoni, il quale ebbe a dichiarare: «In questa unità (d’Italia) era così grande la mia fede che ho fatto il più grande dei sacrifici, quello di scrivere scientemente un brutto verso: "Liberi non sarem se non siamo uni"». (Dal Proclama di Rimini).
Fini. Il presidente della Camera, che si stava facendo una fama di coraggioso nel dare più ragione a Napolitano che alla maggioranza, ha detto che non c’è nessun motivo perché il Parlamento discuta sulla Ru486. Un motivo c’è, essenziale: il Parlamento è nato proprio perché vi si possa discutere di tutto, anche dei farmaci non farmaci (come la pillola dell’aborto).
Il Pd. Qui sembra che la "contraddizion non consenta" l’amalgama fra chi viene dalla cultura marxista e quella cattolica, con tutto il rispetto per la "laicità della politica". Il Congresso d’autunno promette di essere caldo su un argomento fondamentale, che non è solo italiano. Nell’ultimo numero di Esprit un lungo dibattito cerca di chiarire se non ci sia bisogno di "rifare i Lumi", visto che quel pensiero del ’700 non ha saputo evitare guai nei secoli successivi in Francia e nel resto d’Europa, e considerata la tempesta piovutaci addosso dal mondo globalizzato.
La Repubblica. Il 6 agosto ospita in prima pagina un duro articolo di Stefano Rodotà in difesa del «ruolo centrale dell’autodeterminazione» di ogni individuo su temi come vita e morte (cioè l’elogio dell’individualismo più chiuso a ogni legge naturale); ma a pagina 7 pubblica un’intervista a Cohn-Bendit in cui il leader verde francese accusa Berlusconi di incarnare l’egoismo, il pensare solo a sé e ai suoi interessi. Ed è proprio questo il problema di fondo dell’Italia: l’individualismo, cioè "il carattere tipico della post-democrazia". Dunque l’individualismo è sacro in difesa dell’aborto, è esecrabile se lo pratica il Cavaliere.
* L’editoriale – Famiglia Cristiana n. 33/2009