di Pietro Marcenato*
A quello di Anna Politkovskaja – compiuto nell’atrio della sua casa nel centro di Mosca il 7 ottobre 2006 – molti altri assassini sono seguiti.
L’ultimo, quello di Natalya Estemirova, è avvenuto a Grozny alla metà dello scorso mese di luglio quasi alla vigilia dell’11settembre, quando Natalya Estemirova, avrebbe dovuto testimoniare a Parigi davanti alla Commissione Affari Legali e diritti umani del Consiglio d’Europa.
Nessuno degli autori di questi delitti è stato fino ad ora preso e condannato.
Anna Poltkovskaja ha raccontato attraverso le sue inchieste e i suoi libri il lato più oscuro della Russia, quello che si manifesta in Cecenia in una lotta senza esclusione di colpi, nella quale lo stato si pone sullo stesso piano ed usa la stessa violenza del terrorismo e quello che si esprime nel cuore degli apparati dello stato russi a partire dalla polizia, dall’esercito e dalla magistratura, come un impasto terribile di arbitrio, corruzione e violenza.
Dalla Cecenia si diffonde nell’intera Russia un’infezione che sta compromettendo le speranze democratiche seguite alla fine del comunismo sovietico.
Lo sfondo sul quale questo dramma si svolge è quello di una società nella quale la lotta per la sopravvivenza sembra impegnare ogni individuo contro tutti gli altri nel vuoto di strutture e di funzioni di mediazione e di protezione sociale.
Non si tratta semplicemente di un affare interno alla Russia, esattamente allo stesso modo in cui non poteva essere considerata una questione interna all’Unione Sovietica la protesta contro la repressione del gulag e il fenomeno del dissenso.
C’è chi pensa che la Russia sia condannata dalla sua storia e addirittura dalla sua stessa natura a vivere in regimi che hanno come tratto comune e costante un carattere dispotico. Questo giudizio conduce facilmente a trasformare la critica a un regime e alle sue responsabilità in una posizione antirussa tout court. E per questa strada, dal momento che da quelle parti il nazionalismo russo si confronta da secoli con altri più piccoli ma non meno pericolosi nazionalismi, il pericolo di nuovi e più violenti conflitti invece che a ridursi è destinato a crescere.
Naturalmente se si giudica una pura e semplice illusione la prospettiva di una Russia democratica si considereranno velleitari coloro che per la democrazia si battono e rischiano la vita. E in questo scenario non c’è solidarietà morale che possa moderare o riequilibrare la forza della realpolitik e il sostegno al dissenso riguarderà soltanto qualche piccola minoranza senza mai diventare un fatto politico e tanto meno influenzare la politica estera dei nostri governi.
Paradossalmente, anzi, la fine della guerra fredda priva le minoranze critiche anche di quell’appoggio internazionale sul quale almeno le forze che si battevano contro il regime sovietico potevano contare.
Se invece si pensa che la democrazia in Russia sia una possibilità, per quanto difficile, e si considera Anna Politkovskaja e i suoi compagni non come un fenomeno isolato ma una espressione della scelta tra diverse strade che sta di fronte alla società russa e che in forme diverse e con mille mediazioni si può intravedere anche nella dialettica che percorre il sistema politico e lascia intravedere qualche differenziazione negli stessi gruppi dirigenti, il giudizio cambia e con esso cambiano le scelte da compiere.
Io non voglio sopravvalutare alcunché ma temo che quando noi facciamo finta di non vedere che il presidente russo Dmitry Mevdevev incontra la redazione di Novaja Gazeta , o chiede sul caso Politkovskaja un processo che accerti realmente le responsabilità di esecutori e mandanti o auspica una evoluzione della Russia nella direzione di un vero stato di diritto, questo avvenga perché in realtà preferiamo agire come se in Russia ci fosse un unico interlocutore, Vladimir Putin, sul quale regolare i nostri comportamenti e il nostro intero sistema di relazioni.
Certo il problema della democrazia e dello stato di diritto non è una priorità per l’ opinione pubblica di un paese nel quale purtroppo la parola “democrazia” è associata ad una vera e propria catastrofe sociale che ha buttato sul lastrico milioni di persone e prodotto – caso unico nel mondo degli anni novanta - una caduta drammatica della stessa aspettativa di vita. Al punto che in Russia si è parlato della necessità di "riabilitare la democrazia".
A maggior ragione vista questa difficile situazione dovrebbe essere forte e convinto l’aiuto a quelle forze lungimiranti che mettono la democrazia e lo stato di diritto al centro della loro azione.
Come non capire che questo corrisponde a un interesse fondamentale della comunità internazionale e dell’Europa in primo luogo?
Eppure l’Europa, e i grandi paesi in primo luogo, stanno disertando questo impegno e lasciando in questo modo campo libero ad un conflitto aspro ma sterile con la Russia che ha come protagonisti i paesi dell’ex blocco sovietico.
Dobbiamo rassegnarci ad un’altra prova di viltà dell’Europa? E accettare che in questa prova l’Italia ancora una volta si distingua?
Celebrare per la prima volta nella sede istituzionale del Senato - come faremo questo 7 ottobre -l’anniversario dell’assassinio di Anna Politkovskaja è un modo per ricordare a tutti i nostri doveri e le nostre responsabilità.
*Presidente Commissione Diritti Umani Senato