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Articolo 21 - Editoriali
Il terremoto in Abruzzo raccontato da Samantha di Persio
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di redazione

Samanta Di Persio è aquilana. Nel libro “Ju tarramutu. La vera storia del terremoto in Abruzzo.” raccoglie le testimonianze di cittadini aquilani. Autoracconti, legati da un filo conduttore: sei mesi di sciame sismico. Tutti gli abitanti del capoluogo abruzzese avevano avvertito almeno una scossa. In molti dormivano in auto per la paura. Aspettavano un cenno dagli esperti. Giampaolo Giuliani, il tecnico del Gran Sasso, studioso del radon aveva segnalato alla stampa il pericolo di scosse importanti. Soprattutto dopo la scossa di magnitudo 4 del 30 marzo. A seguito del pericolo di disordine pubblico il 31 marzo si riunisce a L’Aquila la Commissione grandi rischi con i vertici della Protezione civile, l’Ingv ed esponenti della politica locale. Il verdetto finale: “Nessun pericolo di scosse più forti rispetto a quella del 30 marzo. I terremoti non si possono prevedere.” Tutti i mezzi di informazione hanno riportato la notizia, in molti rassicurati sono tornati dentro casa. Le prime scosse sono cominciate ad ottobre. Nell’arco di questo tempo i vigili del fuoco avevano fatto sopralluoghi in case private. Alcune scuole erano state chiuse per crolli. Nonostante ciò il 6 aprile la popolazione era impreparata ad affrontare un terremoto. Nessuno aveva fatto esercitazioni. Parte dell’ospedale è crollato, un medico confessa che non sono mai state fatte prove di evacuazione. Se fosse accaduto di giorno ci sarebbe stato uno sterminio… vittime della superficialità delle istituzioni. In molte città sono previsti presidi permanenti,  punti di raccolta. L’Aquila città sismica, distrutta numerose volte dai terremoti non aveva tutto ciò. E così crollano: l’ospedale, la prefettura, la provincia, la casa dello studente. Come giganti di argilla vengono giù: gli edifici denominati strategici, che in caso di pericolo devono garantire la propria funzionalità. Il terremoto ha fatto le sue vittime i suoi danni. Dal 6 aprile L’Aquila è una città fantasma. Sorgono tanti campi, ma non sono sufficienti per contenere tutti gli sfollati. Si decide di utilizzare gli alberghi lungo la costa. Comincia la deportazione, l’estraneazione. Le soluzioni non ci sono per tutti. La famiglia Colaianni composta da quattro persone di cui due invalide in tre mesi viene spostata cinque volte. Gli alberghi a giugno cominciano a mandare via le persone perché c’è la stagione estiva. Nelle tende dopo il freddo e l’attesa per un termosifone, arriva il caldo e di nuovo l’attesa per un condizionatore d’aria fredda. Il disagio è per tutti. E le case? La burocrazia è lenta, manca un prezziario. L’estate trascorre e l’unica notizia è il G8 che non porterà nessun beneficio, se non L’Aquila città conosciuta in tutto il mondo. Pochissimi hanno accettato la proposta del premier italiano di adottare un monumento per la ricostruzione. Intanto viene resa nota la somma raccolta con le donazioni tramite sms 70 milioni di euro. Ma come sono stati impiegati? Nessuno lo sa. Chi si aspettava un po’ di trasparenza rimane deluso. Chi si aspettava lavoro a L’Aquila, rimane deluso. Nei cantieri del progetto C.A.S.E. lavorano solo tre imprese aquilane, fra cui una di Tagliacozzo risultata essere prestanome di Vito Ciancimino. Il governatore dell’Abruzzo Chiodi ha ribadito più volte che nella sua regione la criminalità organizzata non c’è. Eppure l’associazione libera denuncia decine di immobili sequestrati in tutta la provincia dell’Aquila alla mafia. Questo ed altro nel libro “Ju tarramutu”.

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