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Articolo 21 - Editoriali
Il testamento biologico fra finte aperture, giochi di potere e 'riduzione del danno'
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di Simone Luciani

Quando si tocca il grado zero, c’è un vantaggio: non si può che risalire. Forse è per questo che i giornali odierni titolano su fantomatiche “aperture” della PDL (intesa come la corrente più clericale e conservatrice del partito di maggioranza relativa) sul testamento biologico, titoli che derivano dal deposito degli emendamenti al DDL Calabrò (appunto, il grado zero) in Commissione Affari Sociali della Camera, e che hanno risvegliato le speranze, cadute in stato vegetativo, di qualche persona ancora equilibrata che gira qua e là per l’Italia.
Dai duemilasettecentoerotti emendamenti (a tal proposito, complimenti ancora una volta allo stacanovismo radicale: 2470 portano la firma di Maria Antonietta Coscioni, dunque 274 emendamenti e mezzo ad articolo), in realtà, esce un quadro un tantino complesso, e non ci pare di poter, alla fine, esultare. Di quelle che sono sbandierate come “aperture” (dal Corriere, per esempio) ci siamo già occupati in un altro editoriale: si può chiamare apertura il fatto che sia “concesso” in una legge che la nutrizione e l’idratazione artificiali potranno essere sospese solo se provocherebbero la morte, un malore o chissà cos’altro? Si può chiamare apertura il fatto che il testamento biologico varrà in qualunque stato d’incoscienza, e non solo per coloro che finiranno in stato vegetativo, se poi quel che c’è scritto può essere relegato a carta straccia dal medico? Bah…
Interessanti, invece, sono un paio d’elementi. Il primo è che l’ala “liberal” e quella “finiana” della PDL sembrano aver trovato una linea, che è quella (pazientemente intessuta fin dalla primavera scorsa da Benedetto Della Vedova) della ricerca della “riduzione del danno”. Se il PD si è scervellato nel cercare una sorta di mediazione (dall’esito imbarazzante: il sondino si può togliere, ma…se…ma…se…) sui contenuti, i liberal della PDL hanno fatto una scelta diversa: tentiamo di lasciare tutto com’è, e speriamo in momenti migliori. Questo è, nella sostanza, l’emendamento “interamente sostitutivo” presentato da Della Vedova, che raderebbe al suolo il DDL Calabrò sostituendolo con uno che dice: vietata l’eutanasia, vietato l’accanimento terapeutico, ogni decisione viene presa dal paziente (se può) e dalla famiglia in accordo con  i medici. Caso per caso. In pratica, senza cambiare di una virgola la situazione attuale, nella quale l’eutanasia è vietata dal codice penale, l’accanimento terapeutico (che, lo ricordiamo, è un termine che non significa nulla) dal codice di deontologia medica, e il confine fra vita e morte è agito dai familiari e dai medici, con tutto ciò che di buono e di cattivo ne consegue. Insomma, siamo di fronte a una strategia di riduzione del danno: via ogni cenno al testamento biologico, via qualunque slancio in avanti (per chi pensava che fosse realistico), ma via anche tutti gli arretramenti e gli imbarbarimenti del DDL Calabrò. Siamo al si salvi chi può, e memori del dibattito al Senato non è un atteggiamento infondato…
Ma c’è un ‘però’, e non è di poco conto. L’emendamento Della Vedova è stato letto dai fedelissimi di Berlusconi come una nuova presa di distanze da parte dei finiani (ce ne sono parecchi tra i cofirmatari). Anzi, pare che ci siano state non poche pressioni sui deputati PDL perché ritirassero la loro firma. Dunque, poco importa se il protagonista della vicenda è un ex radicale, che sul tema delle libertà civili avrebbe molto da raccontare, ben prima di Fini e di tutti gli altri. E pare importare ancora meno che si sta parlando del fine vita, argomento che meriterebbe ben altro tatto di quello mostrato al Senato, con un dibattito sconfinato spesso nel trash e nel macabro. Non paiono bastare nemmeno le ingerenze della Cei e del Vaticano: a fagocitare tutto ora c’è la lotta fra correnti  del Popolo delle Libertà. Roba da far rimpiangere l’attivismo, regnante Prodi, di Paola Binetti, che almeno era sincera… Così i nostri diritti e le nostre libertà vengono sacrificate ai giochi di potere.

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