di Gian Mario Gillio*
La democrazia è sempre più in pericolo e il presidente del Consiglio dimostra ormai apertamente di non rispettare più nemmeno le altre istituzioni, a partire dalla Presidenza della Repubblica. Occorre mobilitarsi al più presto per far sentire una voce forte e compatta – mettendo da parte le differenze e le divisioni tra associazioni, gruppi spontanei in rete, partiti e sindacati – a difesa della Costituzione repubblicana.
I segnali della pericolosa deriva antidemocratica in Italia sono evidenti, citiamo solo alcuni esempi: le decisioni politiche in materia d’immigrazione; gli attacchi alla libertà di informazione (tra i più recenti ricordiamo le querele giunte a Unità e Repubblica, con l’esosa richiesta di risarcimento danni); i faziosi editoriali usati per delegittimare magistrati, intellettuali, politici, nell’intento di imbavagliare tutto ciò che si differenzia dal pensiero unico; per arrivare, infine, al nuovo «editto di Bonn» (dopo quello «bulgaro», che servì a epurare giornalisti e conduttori televisivi scomodi a Berlusconi). Questa volta l’attacco alla Consulta e alla nostra Carta costituzionale è arrivato in modo chiaro ed esplicito dal presidente del Consiglio: «La maggioranza sta lavorando per cambiare la situazione, anche attraverso una riforma della Costituzione».
La sovranità in Italia, secondo Berlusconi, sarebbe dunque passata dal Parlamento al «partito dei giudici»; una risposta dura – «un attacco violento» come ha chiosato il presidente Napolitano – proprio per il fatto che la sesta Commissione del Csm ha denunciato chiari elementi di incostituzionalità nel testo del ddl sul processo breve. Un’ulteriore prova di forza per indebolire e delegittimare la Costituzione italiana, testo unico e prezioso, che ancor oggi emoziona per il suo lungimirante e democratico contenuto. Il controllo dei media non è dunque l’unico mezzo usato da «mister B» per minare i principi fondamentali della democrazia del nostro paese. Il passo è dunque breve: dal bavaglio all’informazione si vuole arrivare all’offuscamento della nostra Costituzione.
Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, ci invita a riflettere: «Il tempo per salvare la Costituzione ormai è scaduto, scendiamo in piazza». Ma qualcosa possiamo – e, direi, dobbiamo – fare, aderendo alla proposta di una manifestazione unitaria per difendere la nostra Costituzione. Oggi non possiamo tuttavia prescindere, alla luce delle ultime dichiarazioni del pentito Spatuzza (pur essendo necessario verificarne attentamente l’attendibilità e la veridicità) da un altro fattore di pericolo per la nostra Repubblica democratica: la mafia. Mafia, camorra,’ndrangheta, sono realtà che – per citare Saviano – sarebbe erroneo definire territoriali: la «piovra da colletto bianco» ha preso tutto e questa situazione non ci rende liberi, ma schiavi e burattini nelle mani del potere di pochi che oggi tengono in ostaggio l’intero paese. A questo modus operandi l’Italia deve necessariamente ribellarsi. «Non è una questione di destra o sinistra. Non è una questione politica. Non è una questione ideologica. È una questione di diritto», ricorda Saviano nell’appello inviato al presidente del Consiglio, al quale chiede di ritirare la legge sul «processo breve». Appello che ha superato il mezzo milione di firme e che sottintende: è ora di tornare alla Costituzione e alla legalità! La giustizia non è per pochi, lo dice la stessa Carta: la giustizia dev’essere uguale per tutti. Ed è forse per questo che si desidera così fortemente modificarla. Per questo motivo è importante – dopo la manifestazione per la libertà di stampa del 3 ottobre scorso – scendere nuovamente in piazza, proprio per rendere omaggio alle donne e agli uomini che ci hanno insegnato a credere nella legalità e nei valori della nostra Costituzione, per impedire che la forza prevalga sulla ragione e sui diritti, per dare voce a tutte le vittime di ingiustizie e soprusi e, infine, per dare pari dignità alle minoranze etniche, culturali e religiose.
Da ora, da subito, è il momento di cambiare, noi per primi, e intervenire su ciò che riteniamo inaccettabile. Possiamo guardare ai grandi esempi del passato: al sogno di un mondo migliore fondato sulla pace tra i popoli di Giorgio La Pira; a una società slegata dalle costrizioni mafiose, auspicata da Danilo Dolci, proprio come fece il pastore valdese Pietro Valdo Panascia con il manifesto di denuncia responsabilizzante dal titolo «Iniziativa per il rispetto della vita», appeso per le strade di Palermo dopo la strage di Ciaculli del 1963. Solo osando, e con coraggio, potremo far sentire le nostre voci e rompere quest’odioso muro di omertà. Alle associazioni e alle forze politiche, ai gruppi spontanei su internet, ai sindacati, che si battono per la legalità e i diritti, chiediamo di unirsi, aldilà di possibili divergenze, e di alzare le mani al cielo, di scendere in piazza, per tenere in una mano la nostra Costituzione e nell’altra l’Agenda rossa di Borsellino. Un gesto simbolico, certamente, ma necessario per riappropriarci della verità dei fatti e della nostra dignità, per difendere i nostri diritti ma anche per dovere di responsabilità verso il nostro paese. E se anche questa volta si vorrà scegliere un colore, dall’assemblea di Articolo 21 è arrivata l’idea: dopo il viola del «No Berlusconi day», il tricolore della bandiera italiana per il «Sì Costituzione day».
* direttore della rivista “Confronti”