Articolo 21 - Editoriali
L'addio al PD di Paola Binetti e le urla nel silenzio
di Simone Luciani
Pare, infine, che Paola Binetti abbia davvero lasciato il PD, dopo un accanimento terapeutico durato almeno un paio d’anni. E pare che il popolo Facebook-democratico abbia accolto la notizia come un oro olimpico o un gol ai mondiali. Come dar loro torto, d’altronde: se un partito è così, con qualcuno bisogna pur prendersela. Così come? Così poco laico e così poco attento alle libertà civili: immagino sia questa la percezione (non certo fondata sul nulla) di tanti elettori democratici. Che si aspettano ora, evidentemente, un partito che mostri almeno un po’ di coraggio su temi come quelli del fine vita, della fecondazione assistita o delle coppie di fatto (a proposito…vi ricordate cosa sono? Perché da un paio d’anni sembrano evaporate…).
All’entusiasmo del popolo Facebook fa da contraltare un ostentato dispiacere della maggior parte dei dirigenti che hanno sentito di dover prendere pubblica posizione sul Binetti day. Da Gentiloni a Castagnetti, passando per Parisi (temperato, al solito, da riflessioni più interessanti della media) e arrivando, infine, a Bersani. C’è chi, come Gentiloni, ritiene il PD amputato di Binetti più povero. Di cosa? Più povero di cattolicesimo? Sì, secondo Castagnetti.
Dunque, è vero che, come auspicano i Facebook-democratici e come temono i dirigenti ex margheritini, il Partito Democratico senza Binetti sarà più laico e meno cattolico? Partiamo dal “meno cattolico”. E’ evidente che considerare le sorti del cattolicesimo democratico, cultura politica tanto tradizionale quanto diffusa nel nostro paese, nelle mani di Paola Binetti (anzi, nella tessera di Paola Binetti) è una posizione bizzarra. Di certo non si uccide, se non con la repressione, una cultura politica tanto radicata. D’altronde, a scorrere la composizione del PD alla Camera e in Senato di cattolici se ne trovano a bizzeffe. Dunque, il problema è un altro, ed è un problema linguistico: ciò che teme Castagnetti non è un PD meno “cattolico”, ma un partito meno “clericale”. Se è così, Castagnetti ha ragione, ma solo un po’: in pochi, nell’intero parlamento, seguono in maniera così pedissequa le indicazioni della Conferenza Episcopale Italiana come Binetti. Ma è una gara con tantissimi iscritti, vinta dal centrodestra e con buone prestazioni anche del centrosinistra.
Dunque, sarà un partito più laico, come spera il popolo di internet (si semplifica, ovviamente…)? Sì, ma in una sola circostanza e una sola volta al mondo: se un voto fa la differenza e quel voto, che impedisce perfino di far approvare una legge sull’omofobia, è di Paola Binetti. Ma non è colpa sua se una simile situazione si è verificata davvero. Eccoci allora alla domanda di fondo e alla possibile risposta: come è possibile che una sola persona abbia fatto apparire un partito che va e viene dal 30% così incapace sul grande filone delle libertà civili?
Chi frequenta gli stadi sa bene cosa succede durante i minuti di raccoglimento. Specie quando sono molto sentiti, decine di migliaia di persone si chiudono in un suggestivo silenzio. Silenzio nel quale, puntualmente, due o tre persone pensano bene di urlare qualcosa: quelle persone vengono percepite da tutti, e a volte perfino in tv. Urla che, fuori da quel minuto, sarebbe impossibile distinguere. Questo noioso esempio per spiegare che se su un tema un partito si chiude in imbarazzati silenzi, in complesse mediazioni, in ‘linee prevalenti’ che richiedono il lavoro di mesi, chi in quel momento ‘urla’ viene notato da tutti, fuori e dentro. Le posizioni di Paola Binetti erano così ben distinte perché il resto dei deputati e dei senatori prevalentemente taceva imbarazzato. Col risultato di realizzare nel PD l’unico partito progressista occidentale a non fare delle libertà civili una bandiera (non basta di certo avere una posizione). Non erano una bandiera del PDS-DS, che nella maggioranza dei suoi dirigenti vedeva prevalere un certo imbarazzo e una straordinaria capacità di svignarsela, quando c’era da parlare di questi temi. E vale solo la pena ricordare che la legge-burqa sulla fecondazione assistita trovò non pochi sostenitori nell’allora Margherita, nelle cui fila non c’era Paola Binetti.
Spiace disilludere i militanti democratici: solo quando il PD sceglierà di agitare la bandiera delle libertà civili, e non di affrontarle balbettando sottovoce, darà l’impressione di un partito più laico e meno clericale, più progressista e meno conservatore. Con o senza Paola Binetti o i suoi opposti.
All’entusiasmo del popolo Facebook fa da contraltare un ostentato dispiacere della maggior parte dei dirigenti che hanno sentito di dover prendere pubblica posizione sul Binetti day. Da Gentiloni a Castagnetti, passando per Parisi (temperato, al solito, da riflessioni più interessanti della media) e arrivando, infine, a Bersani. C’è chi, come Gentiloni, ritiene il PD amputato di Binetti più povero. Di cosa? Più povero di cattolicesimo? Sì, secondo Castagnetti.
Dunque, è vero che, come auspicano i Facebook-democratici e come temono i dirigenti ex margheritini, il Partito Democratico senza Binetti sarà più laico e meno cattolico? Partiamo dal “meno cattolico”. E’ evidente che considerare le sorti del cattolicesimo democratico, cultura politica tanto tradizionale quanto diffusa nel nostro paese, nelle mani di Paola Binetti (anzi, nella tessera di Paola Binetti) è una posizione bizzarra. Di certo non si uccide, se non con la repressione, una cultura politica tanto radicata. D’altronde, a scorrere la composizione del PD alla Camera e in Senato di cattolici se ne trovano a bizzeffe. Dunque, il problema è un altro, ed è un problema linguistico: ciò che teme Castagnetti non è un PD meno “cattolico”, ma un partito meno “clericale”. Se è così, Castagnetti ha ragione, ma solo un po’: in pochi, nell’intero parlamento, seguono in maniera così pedissequa le indicazioni della Conferenza Episcopale Italiana come Binetti. Ma è una gara con tantissimi iscritti, vinta dal centrodestra e con buone prestazioni anche del centrosinistra.
Dunque, sarà un partito più laico, come spera il popolo di internet (si semplifica, ovviamente…)? Sì, ma in una sola circostanza e una sola volta al mondo: se un voto fa la differenza e quel voto, che impedisce perfino di far approvare una legge sull’omofobia, è di Paola Binetti. Ma non è colpa sua se una simile situazione si è verificata davvero. Eccoci allora alla domanda di fondo e alla possibile risposta: come è possibile che una sola persona abbia fatto apparire un partito che va e viene dal 30% così incapace sul grande filone delle libertà civili?
Chi frequenta gli stadi sa bene cosa succede durante i minuti di raccoglimento. Specie quando sono molto sentiti, decine di migliaia di persone si chiudono in un suggestivo silenzio. Silenzio nel quale, puntualmente, due o tre persone pensano bene di urlare qualcosa: quelle persone vengono percepite da tutti, e a volte perfino in tv. Urla che, fuori da quel minuto, sarebbe impossibile distinguere. Questo noioso esempio per spiegare che se su un tema un partito si chiude in imbarazzati silenzi, in complesse mediazioni, in ‘linee prevalenti’ che richiedono il lavoro di mesi, chi in quel momento ‘urla’ viene notato da tutti, fuori e dentro. Le posizioni di Paola Binetti erano così ben distinte perché il resto dei deputati e dei senatori prevalentemente taceva imbarazzato. Col risultato di realizzare nel PD l’unico partito progressista occidentale a non fare delle libertà civili una bandiera (non basta di certo avere una posizione). Non erano una bandiera del PDS-DS, che nella maggioranza dei suoi dirigenti vedeva prevalere un certo imbarazzo e una straordinaria capacità di svignarsela, quando c’era da parlare di questi temi. E vale solo la pena ricordare che la legge-burqa sulla fecondazione assistita trovò non pochi sostenitori nell’allora Margherita, nelle cui fila non c’era Paola Binetti.
Spiace disilludere i militanti democratici: solo quando il PD sceglierà di agitare la bandiera delle libertà civili, e non di affrontarle balbettando sottovoce, darà l’impressione di un partito più laico e meno clericale, più progressista e meno conservatore. Con o senza Paola Binetti o i suoi opposti.
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