di Simone Luciani
Una mazzata sui denti. Sferrata, a giudicare dall’impatto, almeno da un Joe DiMaggio. In questo si sono trasformate le elezioni regionali, che nella testa di qualcuno (e solo lì) dovevano segnare il momento del rilancio del centrosinistra (o come lo si voglia chiamare). E non stiamo qui a descrivere le sfaccettature della sconfitta (il tipo di mazza, il numero di denti caduti, i giorni di prognosi). Piuttosto, citando qualcuno caro a qualcun altro, la domanda è: che fare?
Il centrosinistra, e in particolare il PD, formazione attorno alla quale si suppone debba nascere uno schieramento d’alternativa a Berlusconi, hanno due strade. La prima, e in genere la più battuta, è mettersi a discutere di questioni interessantissime. Allearsi o no con l’UDC? Come comportarsi con la sinistra? Che rapporto avere con Di Pietro? E i radicali? A chiosa di questi momenti a forte carica adrenalinica e non adatti ai malati di cuore, si presenterà un tale che dirà che va costruito il programma per il 2013. Bene. Bravi. Sappiamo quanto i dirigenti del centrosinistra siano impareggiabili, in questo genere di discussioni.
Oppure, c’è una seconda opzione. Ed è questa: guardare al proprio passato, remoto e recente. E riflettere. Ad esempio, riflettere su un dato abbastanza noto: il centrosinistra è riuscito a vincere quando c’era un progetto che riusciva a mettere assieme più gente possibile e con una prospettiva di stabilità. E se poi qualcuno notava che Bertinotti e Mastella, Pannella e Binetti poco calzavano l’uno con l’altro, pazienza. Sbucava qualcun altro (Prodi, in genere) che inventava qualche pessimo escamotage (ad esempio, programmi biblici che non dicevano nulla) per tentare di farsi bastare lo scotch col quale legare assieme tutti. Dopo un po’, in genere, lo scotch cedeva. Bene: l’errore del dopo-Prodi è stato il ritenere che la falla della sua azione politica fosse nell’ipotesi di legare tutti assieme. Quando, invece, il problema era il mezzo utilizzato. Perché si può tentare in ogni modo di essere cretini, e solo i cretini possono non accorgersi di questa singolare coincidenza fra l’”unità” del centrosinistra e le vittorie, le uniche e le sole. Dunque, primo step della riflessione sul proprio passato: tenere assieme tutti, dai monaci benedettini all’unione degli atei, dai reduci della rivoluzione cubana a Madoff. Altra strada non c’è.
Secondo step: se lo scotch non è adatto, cosa utilizzare? Siamo al punto. Da uno schieramento che si scioglie in lacrime di commozione quando solo sente nominare Barack Obama, ci si aspetterebbe almeno un comportamento. E cioè, osservare cosa faccia Barack Obama. Il quale, coniugando lo straordinario carisma del leader con un notevole pragmatismo, è riuscito a far passare (salvo inciampi di varia natura) una riforma epocale. Poiché non crediamo che in Italia manchi il pragmatismo (perfino nel centrosinistra), evidentemente a mancare è il carisma. Il carisma di un leader che sappia, usando fascino e severità, richiamare all’ordine gli irrequieti. E non si venisse a piagnucolare sostenendo che si rischia di copiare Berlusconi, perché il carisma non l’ha inventato lui, e perché ciò che distingue un leader da un comune impiegato del catasto dovrebbe essere proprio il carisma, giacché possono essere intelligenti, colti e belli entrambi. E, in fondo, è il carisma ciò che distingue un leader da un uomo di pur eccellenti capacità come Romano Prodi.
Terzo e ultimo step: dove lo andiamo a trovare, uno col carisma? Sicuramente ci sarà chi indicherà la strada delle primarie. Strada senz’altro affascinante, ma che in Italia si trasforma, soprattutto se il meccanismo è applicato all’intera coalizione (come è stato in un’occasione), in una sceneggiata dai contorni tragicomici: ogni partito indica un candidato, il candidato del partito maggiore vince, e tutto ciò perché da noi non esistono partiti “liquidi”. Dunque, che le organizziamo a fare, se deve finire così? C’è, invece, la possibilità di guardarsi intorno. E scoprire che un leader, nel centrosinistra, c’è (ed è già una notizia), e si chiama Nichi Vendola.
Onde evitare che si scambi tutto ciò per una marchetta: non voto il partito di Vendola, vivo a qualche centinaio di chilometri da lui e non condivido buona parte delle sue idee. E però, come non riconoscergli che: 1.ha saputo imporsi per due volte in una regione tutt’altro che facile 2.ha tenuto insieme una coalizione eterogenea e ha saputo tenere botta a situazioni assai complicate 3.si è mostrato più forte di correnti, correntine e potentati vari che rendono il centrosinistra teatro di sceneggiate intollerabili 4.ha mostrato di saper vincere quando c’è il vento a favore e quando c’è il vento contrario 5.è l’unico, da quelle parti (in quella “coalizione”, se così vogliamo chiamarla), che, anche quando hai forte la sensazione che ti stia raccontando una baggianata, ti spinge a fidarti di lui. Idea bizzarra? Forse. Ma, a quel punto, se ne tiri fuori una migliore, e, se possibile, che le argomentazioni a supporto abbiano il minimo sindacale di contatto con la realtà.