Articolo 21 - Editoriali
Caso Google- Vivi Down: signor giudice ci spieghi
di Vincenzo Vita
Signor giudice ci spieghi
Un processo sotto i riflettori mondiali, il caso “Google- Vivi Down” rappresenta un fenomeno tra i più visti e sentiti dell’epoca del web 2.0.
In attesa della sentenza, abbiamo lasciato irrisolti quesiti chiave dell’intera vicenda: internet è davvero uno spazio pubblico autoregolamentabile? Ora abbiamo finalmente i testi.
Secondo il giudice Oscar Magi non può esistere «la "sconfinata" pirateria di Internet dove tutto è permesso e niente può essere vietato». Cosicché il giudice è “in attesa di una buona legge che definisca la responsabilità penale per il mondo dei siti web”.
Per il Tribunale di Milano il provider del servizio risulta responsabile del contenuto messo online. Al contrario, secondo la direttiva europea sul commercio elettronico gli intermediari - che hanno un ruolo passivo nel trasporto di informazioni provenienti da terzi - sono esonerati da qualsiasi responsabilità. E per il decreto legislativo n. 70 del 2003 il provider non è responsabile per i contenuti immessi dagli utenti, se li rimuove appena viene effettivamente a conoscenza di un fatto illecito. Eppure la sentenza, nelle sue 111 pagine, non ha ben chiarito questo punto. Anzi, per il giudice Magi, Google Italia avrebbe dovuto avvertire la ragazza che pubblicava il video e che stava così ledendo la privacy di un compagno di classe autistico.
Ma l'avvertimento all'utente sulla tutela della riservatezza significa - implicitamente - che non si vuole che le piattaforme facciano gli sceriffi del web? Oppure si chiede di fatto un vero e proprio controllo dei contenuti: ancora una volta una censura?
E’ tempo di portare avanti la causa dell’”Internet Bill of Rights”. Dice bene il giudice Magi che il web necessita di norme. Sì, per salvaguardalo, signor giudice. Non per cacciarlo tra i peccatori.
Un processo sotto i riflettori mondiali, il caso “Google- Vivi Down” rappresenta un fenomeno tra i più visti e sentiti dell’epoca del web 2.0.
In attesa della sentenza, abbiamo lasciato irrisolti quesiti chiave dell’intera vicenda: internet è davvero uno spazio pubblico autoregolamentabile? Ora abbiamo finalmente i testi.
Secondo il giudice Oscar Magi non può esistere «la "sconfinata" pirateria di Internet dove tutto è permesso e niente può essere vietato». Cosicché il giudice è “in attesa di una buona legge che definisca la responsabilità penale per il mondo dei siti web”.
Per il Tribunale di Milano il provider del servizio risulta responsabile del contenuto messo online. Al contrario, secondo la direttiva europea sul commercio elettronico gli intermediari - che hanno un ruolo passivo nel trasporto di informazioni provenienti da terzi - sono esonerati da qualsiasi responsabilità. E per il decreto legislativo n. 70 del 2003 il provider non è responsabile per i contenuti immessi dagli utenti, se li rimuove appena viene effettivamente a conoscenza di un fatto illecito. Eppure la sentenza, nelle sue 111 pagine, non ha ben chiarito questo punto. Anzi, per il giudice Magi, Google Italia avrebbe dovuto avvertire la ragazza che pubblicava il video e che stava così ledendo la privacy di un compagno di classe autistico.
Ma l'avvertimento all'utente sulla tutela della riservatezza significa - implicitamente - che non si vuole che le piattaforme facciano gli sceriffi del web? Oppure si chiede di fatto un vero e proprio controllo dei contenuti: ancora una volta una censura?
E’ tempo di portare avanti la causa dell’”Internet Bill of Rights”. Dice bene il giudice Magi che il web necessita di norme. Sì, per salvaguardalo, signor giudice. Non per cacciarlo tra i peccatori.
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