di Elisa Anzaldo
Finita la telecronaca della festa della Repubblica alla quale teneva particolarmente, il 2 giugno 2010, Paolo Giuntella si presento' davanti a Regina Coeli. All'agente disse: "mi costituisco, voglio essere arrestato".
"Perche', hai ammazzato tua moglie?". "No, anzi lei e' d’accordo". "E allora?" "Ho pubblicato. E voglio essere il primo...ho portato anche i soldi della multa, 20mila euro", disse Paolo rompendo il salvadanaio dei figli, anche loro d’accordo. "Il solito rompicoglioni, penso’ l'agente. "Senta io guadagno mille euro al mese, rischio la vita tutti i giorni, e qui c'e' un sovraffollamento che manco all'Ikea di domenica e l'avverto subito non c'e' l'aria condizionata. Via sparire!". Paolo insistette, spiego' tutto il provvedimento, parlo' della liberta' di stampa, dell'art.21 della Costituzione, del potere, dei cani da guardia, delle conquiste dal 1789 ad oggi, di Franklin, e fece anche brevi cenni sulla Resistenza, argomento che infilava ovunque anche quando si parlava di fave e pecorino.
Passarono sei ore. si era formata la coda. Paolo educatamente cedeva il posto ad altri in attesa di entrare, ma quelli rispondevano "faccia con comodo".
L'agente stremato, a tratti affascinato, confuso e accaldato, si convinse, quell'uomo andava comunque arrestato. Nel porgere il pollice per le impronte digitali Paolo non perse occasione di puntualizzare cosa non lo convinceva di quella burocrazia di ingresso in carcere. E che comunque dover consegnare il cappello era una palese violazione della sua liberta' personale.
Alla fine entro'. Chiese di essere messo nel braccio degli immigrati clandestini. Diede loro tutta la sua solidarieta', poi ricomincio' a spiegare della liberta' di stampa, della Costituzione, ecc. ecc. Tra le celle correva voce di uno che dava del lei agli immigrati e chiamava dottori e professori i laureati romeni indiani e marocchini. "E' un matto… vedrai che chiede la perizia e lo mettono fuori".
Alla messa della domenica, in prima fila, parlo' dei preti pedofili, e disse che la Chiesa era ognuno di quei bambini violati. Poi ricomincio’ a spiegare, della liberta’ di stampa, della Costituzione, del potere, dei cani da guardia, ecc. ecc.
Incontro' gli altri detenuti. "Perche' sei qui? Omicidio, 20 anni. Traffico di droga, 9 anni. Sfruttamento della prostitzuione, 4 anni. Strage, ho l'ergastolo.
E tu perche' sei qui? Io, intercettazioni, due mesi. E ricomincio' a spiegare.
I due mesi passarono. Paolo chiese di restare.
I giornalisti italiani si tassarono. 20 mila euro ogni due mesi per mantenerlo non era roba da poco. Ognuno diede qualcosa, ci fu chi non diede manco un euro.
Nel paese si sparse la voce che c'era un giornalista da pagare. Strani individui si presentarono, “… lo abbiamo sempre fatto, magari non in contanti, promozioni, viaggi, avanzamenti...” Fu loro spiegata la causa della raccolta di soldi. Si ritirarono per conflitto di intressi. Dei loro interessi.
Anche veltroniani, franceschiniani, dalemiani e bersaniani dopo ore e ore di discussioni arrivarono alla conclusione di devolvere per la causa l'incasso della festa dell'Unita', cento euro. Paolo ringrazio'per il pensiero e rifiuto'.
Persino i finiti o finiani come si chiamavano si offrirono di partecipare, magari senza che si sapesse troppo in giro. Ma Paolo rifiuto'. Non voleva soldi in nero o neri, neri e in nero.
Le piu' grandi aziende di telefonia si offrirono di pagare la multa per Paolo. Gli affari andavano a gonfie vele. Tutti parlavano al telefono, politici, imprenditori, mafiosi, trafficanti, amanti, veline, attrici. "Ci vediamo sulla spiaggia, il mare e' in tempesta, non ci sentira' nessuno". "Sei pazzo, parliamone al telefono, e' il posto piu' sicuro". Paolo rifiuto’ anche i soldi delle aziende.
La cosa comincio' a diventare onerosa.
Santoro anticipo' un anno intero. Al momento era quello messo meglio, tra noi. Almeno cosi' sapevamo, altri forse erano piu' ricchi di lui, ma non lo sapevamo. All'epoca.
In carcere arrivarono i pizzini della federazione della stampa e anche quelli degli editori. "Va bene il reato di immigrazione clandestina, il sovraffollamento delle carceri, la corruzione dilagante, va bene la solidarieta', ma ricordati la liberta' di stampa, sei li' per questo. Non ti distrarre". Paolo era fatto cosi', si distraeva. Non c'era ingiustizia che tollerava. Non c'era modo di tappargli la bocca e la penna.
L'America si indigno', la Cina si informo' per quel giornalista in carcere in Italia.
Paolo Giuntella usci' dal carcere, quando finirono i soldi. All'uscita, via della Lungara era bloccata. Centinaia di giornalisti italiani e stranieri andarono a sentire cosa aveva da dire. Ma Paolo stranamente non fece alcuna dichiarazione. Consegno' migliaia di pagine di intercettazioni. Il carcere era pieno di cimici e Paolo aveva registrato ogni colloquio. L'Italia divenne trasparente come non era mai stata. Molti misteri irrisolti da 50 anni si svelarono.
Paolo aveva solo fatto il suo mestiere.
Roma 25 maggio 2010,
nel secondo anniversario