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Articolo 21 - Editoriali
La libertà di informazione e la lezione dei Costituenti
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di Ernesto M. Ruffini (A Buon Diritto)

 

Le notizie sulla gestione del servizio pubblico televisivo e sull’oscuramento dei talk show nel periodo precedente alle ultime elezioni amministrative e, infine, il clamore suscitato dalla legge in discussione in Parlamento ribattezzata la “legge bavaglio” riaffermano la centralità della vecchia questione della libertà di informazione. Ancora una volta un aiuto ci viene offerto dalla Costituzione.

Durante il dibattito che precedette l’approvazione dell’art. 21 della Costituzione, i Costituenti avevano messo in guardia le generazioni future del rischio di una stampa non libera ed asservita al potere, perché «la stampa esercita una funzione importantissima: essa educa il popolo, dà idee al popolo, crea stati d’animo, sentimenti, opinioni e quindi deve essere retta da persone probe e incorrotte» (Damiani).

Ci avevano ricordato che «non c’è libertà di voto, senza libertà di stampa» (Basile).

Ci avevano ricordato che durante il fascismo c’era stata «una classe giornalistica la quale non» aveva  «saputo resistere con dignità e con fermezza agli assalti della reazione e della dittatura» e proprio quell’esperienza deve indurre i giornalisti «difendere la propria indipendenza e la propria dignità anche contro la potenza del denaro, contro le minoranze plutocratiche faziose le quali si vogliono servire della stampa […] per giovare a interessi particolari sotto la veste, come avviene sempre, di una difesa degli interessi nazionali» (Schiavetti).

Ci avevano ricordato che in quel ventennio, alcuni giornalisti avevano «sacrificato la loro dignità e prostituito il loro ingegno […] ai facili onori, ai facili plausi»; avevano «immolato la dignità del loro intelletto sull’altare dell’oro, del denaro»; avevano «tenuto un contegno che sotto tutti gli aspetti è stato riprovevole», facendo sorgere nei cittadini «il culto dell’ingiustizia, il culto […] di tutti i sentimenti deteriori dell’uomo e del cittadino», deridendo «quelle che erano le istituzioni più alte: la democrazia, la libertà» (Cavallari).

Ci avevano ricordato l’importanza che i giornalisti ed i giornali «facciano prima di tutto sapere chi li sovvenziona, da quali fonti traggono il denaro col quale sono in grado di mantenersi», perché «il tono del giornale non è dato infatti tanto dal direttore o dai redattori, quanto da chi lo sovvenziona, perché quel giornale rappresenta i suoi interessi ed è l’esponente delle sue idee» (Cavallari); da qui, l’importanza «di affidare il controllo alla pubblica opinione» (Mortati).

Dopo sessant’anni, purtroppo, è arrivato il momento di ricordarlo ancora.
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