di Manuela Lasagna, Marco Dedola*
Credo che porsi domande su come i giornalisti hanno “trattato” la notizia – e sottolineo “la notizia” – della presenza di Patrizia D’Addario alla manifestazione di Piazza Navona, come fa nella sua lettera aperta Debora Aru, sia non soltanto giusto, ma anche utile per la professione. E a ben vedere la “notizia” è forse proprio la brutalità con cui la D’Addario è stata trattata da quelli che si definiscono i paladini della libertà di stampa. Dimentichi persino del fatto che è stata proprio la sua testimonianza e oserei dire il suo coraggio a consentire di scoperchiare un sistema.
Anch’io sono rimasta sconcertata da quello che ho visto in piazza, e non dal fatto che i colleghi si affollassero intorno alla D’Addario (una notizia è pur sempre una notizia) ma dalla reazione di chi, essendo in piazza a manifestare per la libertà di pensiero, di intercettazione e di stampa, ha pensato che la D’Addario fosse venuta lì a rubargli la scena e proprio come quelle comari del paesino a cui avevano sottratto l’osso ha reagito in modo scomposto e francamente illiberale.
Una brutta pagina davvero, su cui tutti dovremmo riflettere.
Essendo stata però tirata in ballo come esempio-limite di cattivo giornalismo per aver “addirittura tentato di intervistare la brillante biondina in diretta”, con tutto il corollario sulla mancanza di deontologia professionale che da tale scelta deriva, ritengo di dover replicare non solo a tutela della mia personale professionalità, ma anche della testata che giovedì in piazza ero chiamata a rappresentare.
Premesso che la sig.ra D’Addario era presente alla manifestazione non di sua iniziativa, ma su invito del Popolo Viola, ovvero di una delle sigle che hanno organizzato la manifestazione e che la sua vicenda ha ispirato proprio una delle norme più discusse del disegno di legge Alfano (e dunque era perfettamente titolata a esprimere la sua opinione), ho trovato di una gravità inaudita che alcuni colleghi (oltretutto con indosso la maglietta di Articolo21) si siano messi a gridare “vergognatevi” all’indirizzo della sottoscritta, per il solo fatto che stavo per intervistare la D’Addario.
A causa della violenza della “protesta” dei colleghi che in perfetto stile talebano si sono avventati anche fisicamente contro la postazione della nostra telecamera, in quel momento impegnata nella diretta, la signora D’Addario è stata costretta ad allontanarsi, facendo saltare il previsto collegamento.
Alla mia veemente protesta (“questa è censura. Voi mi avete impedito di fare il mio lavoro”), uno dei suddetti colleghi mi ha persino minacciato di sputtanarmi pubblicamente – chiedo scusa per il francesismo - davanti a tutta la categoria.
Se la giovane collega ritiene che questo sia un modo legittimo di contestare il lavoro di un altro collega, per giunta a una manifestazione sulla libertà di stampa, beh, non c’è da stupirsi se la democrazia in questo Paese vacilla.
Personalmente diffido di quanti, puristi per convinzione o per convenienza, si ergono a guardiani della rivoluzione, mentre chiudono volentieri un occhio e talvolta anche due sulle tante D’Addario che si nascondono fra le fila della nostra onorata categoria.
Per quanto mi riguarda vorrei essere giudicata per quello che faccio e che ho fatto e non per quello che qualcuno presume che io stessi facendo e non ho fatto.
Certo è davvero curioso che l’unica giornalista ad essere attaccata sia io di Rainews, l’unica testata peraltro che ha dato l’intera manifestazione in diretta. Non l’hanno fatto né Sky né la FNSI. Una diretta arricchita anche dal contributo di almeno una decina di interviste realizzate direttamente dalla piazza, anche a costo di non sentire la mia stessa voce pur di dare il senso della manifestazione dal “di dentro” e non dal lontanissimo trabattello messo a disposizione dalla Rai. Scusate se è poco.
Ma questo agli amici di Articolo21 forse non interessa.
*Manuela Lasagna, inviato
Marco Dedola, capo servizio Interni di Rainews