di Giorgio Paterna*
Sono iniziate in questi giorni le prime assemblee indette da studenti e non solo, in alcuni casi anche direttamente dai Rettori, che vedono la partecipazione e l’agitazione non più solo dei ricercatori e degli studenti, ma anche del corpo docente.
Assemblee da Firenze a Pavia, da Ancona a Lecce, da Napoli a Palermo, dove cresce il fermento contro un disegno di legge ora in discussione alla Camera che rappresenta, a detta di chi come noi l’Università la vive quotidianamente e ne ha a cuore le sorti, la fine del suo carattere pubblico, della sua funzione sociale, della sua funzione di motore ultimo per il Paese.
Un ddl che vogliono solo i baroni, il cui potere verrebbe agevolato attraverso l’inserimento nei CdA di terzi esterni che della didattica e della ricerca libera di qualità potrebbero non avere alcun interesse. Una riforma, inoltre, “senza oneri aggiuntivi a carico dello Stato”, in un momento in cui gli Atenei non riescono a chiudere i loro bilanci in pareggio, che siano essi atenei “virtuosi” o meno. Una riforma che mira a slegare il diritto allo studio dai criteri di reddito con cui vengono, insieme a quelli di merito, oggi selezionati gli studenti a cui lo Sato dà un aiuto economico, tra l’altro oggi assolutamente insufficiente per tutti gli studenti ritenuti bisognosi e meritevoli. Una riforma, ancora, che porta la figura del ricercatore ad essere l’emblema dell’incertezza, a partire dalla sua figura che diventa a tempo determinato per finire alla riduzione dei tempi in cui deve realizzare i suoi progetti di ricerca.
Questi sono i temi che saranno affrontati nelle assemblee che come studenti insieme ai ricercatori abbiamo indetto in questi giorni, per parlare del futuro a cui questo ddl porterà, della perdita del diritto allo studio, della ricerca pubblica, della didattica di qualità, del carattere pubblico dell’istruzione, in favore di un sistema in cui gli studenti che verranno aiutati saranno solo coloro che hanno già i mezzi per dedicarsi allo studio, in cui i ricercatori non avranno le possibilità per costruire né un futuro per se né per il loro progetto di ricerca, in cui solo gli atenei che saranno in grado di attirare finanziatori privati potranno guardare al proprio futuro. Insomma un sistema universitario spaccato, con atenei di serie A e di serie B, studenti di serie A e di serie B. Dove la differenza la faranno i soldi, i soldi dei privati, i soldi di chi potrà mandare i figli a studiare, i soldi di chi potrà finanziare progetti di ricerca privati. Stiamo facendo un passo indietro di decenni, in cui la società si ridivide per classi sociali, tra chi potrà guardare al futuro e chi no.
Per questo a partire dalle assemblee di questi giorni inizierà un periodo di mobilitazione che dagli atenei passerà alle piazze, insieme agli studenti medi venerdì 8 Ottobre, insieme ai ricercatori giovedì 14 davanti alla Camera arrivando alle strade di Roma insieme ai lavoratori metalmeccanici della Fiom-CGIL il 16 Ottobre.
*Coordinatore nazionale UDU- Unione degli Universitari
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